Federica Guidi (foto LaPresse)

L'agenda di governo dei pm

Renzo Rosati
Oltre Guidi. Procure anti industria e tante pensioni di invalidità. Quello del sud è un modello di sviluppo? – di Renzo Rosati

Roma. “Il governo ha le mani nei pozzi di petrolio, Matteo Renzi è il premier delle lobby”, scrive sul blog Beppe Grillo, e subito parte al Senato lo slogan Cinque stelle “governo con le mani sporche di petrolio”. La Lega nord dice di aver scoperto “perché Renzi non vuole che la gente vada a votare nel referendum sulle trivelle”. La mozione congiunta magari non ci sarà, ma la consultazione contro le piattaforme in mare è tra 15 giorni, e secondo i sondaggi appena il 20 per cento degli italiani era finora interessato alla questione. Ora si vedrà. Ieri da Washington Matteo Renzi si è detto “dispiaciuto dal punto di vista personale”, ma il ministro dello Sviluppo Federica Guidi, dimessosi giovedì sera, “ha fatto la cosa giusta. C’era un elemento non di illecito ma di opportunità”. Comunque a Palazzo Chigi il sospetto sul tempismo della procura di Potenza nell’ordinare l’arresto di funzionari Eni e di esponenti locali del Pd, oltre a diffondere le intercettazioni telefoniche tra Guidi e Gianluca Gemelli, quel sospetto circola eccome.

 

Siamo però solo al fronte politico. Intorno a questo girone ce n’è un altro – le procure del sud – e poi un altro ancora, l’idea di sviluppo che regioni e capoluoghi meridionali, oggi tutti in mano al Pd o alla sinistra, oppongono all’attivismo filo-industriale del premier. Potenza non è la sola procura a indagare. C’è Taranto che ha in mano il caso Ilva. C’è Trani che inquisisce le agenzie di rating, ha chiamato a deporre il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e pare che solo dopo una ufficiosa moral suasion dai dintorni del Csm abbia rinunciato a convocare Mario Draghi, già ascoltato a Roma cinque anni fa. Anche su Taranto si è appena mosso il Consiglio della magistratura, mandando in pensione il 31 dicembre il capo della procura Francesco Sebastio (che ha subito fatto ricorso al Tar), e mettendo al suo posto Carlo Maria Capristo, già a Trani dove ha appunto supervisionato l’inchiesta sul “complotto finanziario”. C’è Napoli nord, dove il capo Francesco Greco (solo omonimo del collega milanese) ha sede ad Aversa e il suo ufficio indaga sulla Terra dei fuochi: sul solo filone della discarica Resit 168 udienze, ben 150 dell’accusa.  Questo per limitarsi alle indagini a maggiore impatto mediatico e potenziale intercettatorio.

 

Ma a questa geografia giudiziaria se ne sovrappone un’altra politica, che trincerandosi dietro i vessilli verdi dell’ambientalismo, o arancioni della “gggente”, sembra puntare a una specie di sanfedismo anti trivelle, anti oleodotti, anti privati, anti sviluppo in generale. L’epicentro è nella Puglia di Michele Emiliano, ex magistrato e tenace avversario di Renzi; prima di lui Nichi Vendola fu all’avanguardia nel referendum sull’“acqua bene comune”, ri-regionalizzando l’Acquedotto pugliese che ora non si sa più come far funzionare. Poi le altre regioni meridionali che hanno promosso il referendum: Campania, Calabria, Basilicata, Sardegna. Cacciare le trivelle per via referendaria, e magari bloccare l’estrazione di petrolio in Basilicata, il più grande giacimento terrestre europeo che vale il 10 per cento del fabbisogno italiano e mezzo miliardo di royalties alla regione: un’idea come quella di Luigi de Magistris che a Napoli scagliò il popolo arancione contro i termovalorizzatori e ora contro l’“occupazione mafiosa” della bonifica di Bagnoli a opera dei privati. La domanda è: a che tipo di modello aspirano in alternativa gli amministratori del sud? Una risposta l’ha fornita il rapporto Inps sulle pensioni erogate nel 2015: quelle assistenziali e in particolare per invalidità sono aumentate in dieci anni del 50,5 per cento, e l’aumento, indovinate, riguarda il sud dove finisce il 44,8 per cento degli assegni. Grazie ai criteri di assegnazione regionalizzati in Calabria ne beneficiano 97 residenti su mille, in Sardegna 92, in Sicilia 91, in Puglia 85, in Campania 84. In Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna siamo a 45. In Trentino-Alto Adige a 26. Ammettiamolo: una bella pensione da invalido è molto più popolare delle lobby e delle mani grondanti petrolio.