Claudio Costamagna

Eclissi (e risorgimento) del Fondo “salva imprese” del governo

Alberto Brambilla
Così Costamagna (Cdp) vorrebbe resuscitare il Fondo pubblico-privato abbandonato da Andrea Guerra. Avrà gli stessi problemi

Roma. La Cassa depositi e prestiti (Cdp) si sta avventurando nel tentativo di rianimare il progetto di creazione di un fondo, garantito dallo stato, per soccorrere le imprese italiane in condizioni difficili ma rischia di incorrere negli stessi problemi che avevano soffocato il piano in passato. Il fondo di turnaround, di ristrutturazione, era stato istituito nel gennaio scorso dal governo Renzi con il decreto “sblocca Italia”, con la precisa intenzione di recuperare la malandata acciaieria Ilva di Taranto, ma in un anno non ha mai visto la luce a causa delle plurime defezioni da parte di investitori privati che, sondati, non hanno voluto partecipare al rischio dell’operazione a fronte di ritorni sull’investimento incerti e tempi lunghi. Andrea Guerra, ex manager di Luxottica e già consigliere di Fsi, partecipata di Cdp, era stato chiamato a realizzarlo in qualità di consigliere personale del premier Matteo Renzi ma ha lasciato l’incarico governativo prima di riuscirci sciogliendo a ottobre il “contratto morale” che aveva con Renzi.

 

Lo studio di consulenza Vitale & Associati di Milano aveva affiancato Guerra e tuttora assiste la Cdp nell’impresa che fu partorita nel 2015 da Franco Bassanini, all’epoca presidente di Cdp, con un paper pubblicato sul portale della Fondazione Astrid. Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs, e Fabio Gallia, ex Bnp-Paribas, nominati dal governo presidente e ad a luglio, hanno intenzione di ripartire, apprende il Foglio. La Cassa depositi e prestiti, controllata dal Tesoro che gestisce i risparmi postali, creerà all’interno del suo perimetro di partecipazioni un fondo che, in ossequio al piano industriale quinquennale 2016-’20, vorrebbe offrire sostegno alle imprese italiane che negli ultimi due anni sono incorse in difficoltà momentanee. La Cdp parteciperebbe al veicolo in gestazione con una quota minoritaria e in qualità di anchor investor, ovvero di investitore apripista capace di infondere fiducia a investitori privati potenzialmente interessati. Claudi Santiago, nato a Barcellona, per anni alla General Electric a Firenze presso una delle principali divisioni della multinazionale americana, la Nuovo Pignone, è in predicato di essere scelto come amministratore del fondo. Sul sito web di First Reserve, società dove attualmente lavora, Santiago è ancora inserito come managing director e chief operating officer degli uffici di Londra dov’era giunto nel 2012. L’intenzione di Cdp è attrarre grossi investitori ma non è chiaro se prenderanno parte anche Poste e Inail, enti pubblici, di cui si ventilava un intervento.

 

[**Video_box_2**]L’esperienza di Guerra insegna che non è facile trovare capitali da riversare sulle imprese italiane boccheggianti. Una ventina di investiori istituzionali anglosassoni, fondi specializzati in ristrutturazioni e banche italiane, sondate nel tentativo di aumentare la base di capitale, avevano snobbato il fondo chez Guerra, manager scelto per i suoi contatti con l’establishment finanziario, e l’obiettivo di raccolta è stato mancato (su 2 miliardi, di cui 1,4 pubblici, mancavano 600 milioni privati). Gli operatori esteri che investono su aziende italiane sotto stress sono meno che nel resto d’Europa, secondo Private Equity & Venture Capital Association, e sono per natura contrari a perseguire logiche politiche che non assicurano rendimenti nel medio termine. Non sono “capitali pazienti”, per usare un’espressione in voga per descrivere gli investitori di lungo periodo come Cdp, e male si amalgamano con enti pubblici. A causa di processi civili farraginosi, in Italia servono almeno 5 anni per mettere le mani su un asset, pignorare i beni e liquidare gli investitori. Tanto basta a spazientire chiunque. Nel Regno Unito serve un anno e mezzo in media. Di recente il fondo GreyBull Capital, specializzato in “accordi di salvataggio”, è stato ingaggiato per vendere un comparto dell’acciaieria inglese di  Scunthorpe che Tata Steel Uk dismette. Costamagna e Gallia avranno davanti gli stessi problemi di Guerra: dare un senso economico a interventi con finalità politiche richiesti dal governo che li ha nominati. Una missione scomoda per due banchieri d’affari avvezzi a cercare valore in operazioni profittevoli, chiamati invece a risolvere grossi guai.

 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.