Da Opec a Nopec

Gabriele Moccia
Non è il solito Opec. Il cartello dei paesi produttori di petrolio trova intese cruciali fuori dalle consuete geometrie. Cosa segnala l'intesa tra Arabia Saudita e Russia a Doha alla presenza di Qatar e Venezuela.

Roma. Il recente accordo di Doha, tra Russia, Arabia Saudita, Venezuela e Qatar, per cercare di stabilizzare verso l'alto i prezzi del petrolio, ha celebrato il funerale dell'Opec, il cartello dei principali paesi produttori di greggio. Che l'Opec si fosse ormai avvitato in una crisi decisionale, derivante dall'incapacità di coniugare le mire saudite di affossare l'industria petrolifera americana con le legittime esigenze di crescita degli altri Paesi membri, era chiaro sin dal vertice di Vienna dello scorso dicembre. Ora, la formalizzazione di alleanze parallele è forse la spallata esiziale all'organizzazione. 

 

Sembra sparita dal palcoscenico internazionale la figura del segretario generale dell'Opec, il libico Abdullah Al Badri. I singoli stati sono tornati a parlarsi direttamente tra di loro, in ordine sparso. E nessuno, neanche i sauditi, ha fiatato quando, ancora qualche giorno fa, il capo di Rosneft, Igor Sechin, è tornato con enfasi (e pubblicamente) a sottolineare l'assoluta inutilità dell'Opec.  La strategia del Cremlino, del resto, è sempre stata chiara: alimentare una fronda interna al cartello, utilizzando l'Iran e il Venezuela (sin dall'inizio critici con Riad per l'imposizione di tetti alla produzione) per portare i sauditi e i paesi del Golfo allo stallo, così da costringerli al tavolo dei negoziati. Doha è il primo – certamente imperfetto – seme di un nuovo coordinamento internazionale nella complicata geopolitica del petrolio?

 

Il mercato e parecchi autorevoli analisti hanno manifestato scetticismo sull'efficacia del patto. Iran e Iraq, che sono due player fondamentali, sono rimasti fuori dall'accordo. Il ministro del petrolio iraniano, Bijan Zanganeh, non ha alcuna intenzione di congelare la propria produzione proprio nel momento in cui è impegnato a rilanciare l'industria energetica del suo paese. Le timide parole di apprezzamento di Teheran ai negoziati di Doha sono più il frutto della cortesia diplomatica, in particolare dovuta alla Russia, che resta il principale alleato del regime degli ayatollah in campo energetico.

 

[**Video_box_2**]Anche l'Iraq,  che ha già forti difficoltà a tenere insieme i propri impianti di produzione, pur concordando sulla necessità di stabilizzare i prezzi sta allo stesso tempo spingendo per raddoppiare la propria produzione di greggio, come ha confermato Assem Jihad, il portavoce del ministro del petrolio. Gli scenari futuri sono difficile da leggere, ma è probabile che – in assenza di shock positivi nei livelli dei prezzi – nei prossimi mesi continuerà a farsi strada l'idea di passare dall'Opec al Nopec, come ha scritto lo studioso Chris Cook, ricercatore all'University College of London. Ovvero, la ricerca di un consenso internazionale volto alla creazione di un organismo multilaterale per la gestione del mercato del greggio, non più basato su uno schema di cooperazione e competizione a fasi alterne, ma bensì su un quadro di protocolli tecnici molto specifici, simili a quelli applicati nell'Organizzazione mondiale per il commercio.

 

L'idea ha una serie di padrini, tra i quali, da ultimo, il presidente della Repubblica islamica, Hassan Rohani, che in occasione del meeting di Davos del 2014 è tornato sul tema.   Se è vero, dunque, che, parlando all'International petroleum week, il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia, Keisuke Sadamori, ha spiegato come – secondo le sue stime – il prolungamento dello scenario del cheap oil nel prossimo decennio potrebbe alla fine favorire l'Opec, è altrettanto realistico aspettarsi una fine prematura del cartello , fine che forse è già cominciata a Doha.
 

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