Maurizio Landini (foto LaPresse)

Landini, sindacalista catodico

Renzo Rosati
La crisi d’astinenza è arrivata fulminea. Lunedì primo febbraio il Fatto quotidiano pubblica un’intervista a Maurizio Landini nella quale il segretario della Fiom-Cgil si dichiara rovinato dall’assidua presenza nei talk-show.

Roma. La crisi d’astinenza è arrivata fulminea. Lunedì primo febbraio il Fatto quotidiano pubblica un’intervista a Maurizio Landini nella quale il segretario della Fiom-Cgil si dichiara rovinato dall’assidua presenza nei talk-show: “Ti vogliono trasformare in uno strumento, una comparsa, un pezzetto di teatro che serve alla messinscena quotidiana”. Non per colpa sua, per carità: “Mi trovavo a dovermi confrontare nei salotti televisivi con gente ignorantissima, approssimativa, che parlava di cose di cui non sapeva”. Perciò il sindacalista più de sinistra mai avuto in Italia aveva il dovere etico di intervenire: “Senti corbellerie così incredibili e ti lasci andare”. Ora però la promessa: “Landini – parla in terza persona – adesso rifiuta, sceglie quando è il momento, quando è utile, quando c’è tempo per illustrare un pensiero. Farò il sindacalista”. Mettiamo che l’intervista sia stata raccolta il 31 gennaio, o anche il 30: martedì 3 febbraio Landini eccolo lì a “Ballarò”, caricato a molla dalla presenza in studio di partite Iva, avvocati senza pensione, giornalisti a bassissimo reddito. Un “popolo” dal quale a un certo punto si leva la parola “coalizione”. Landini, non in felpa ma in pullover grigio e fin lì piuttosto assente, si anima: Coalizione sociale è il partito – pardon, il soggetto politico – che ha tentato di lanciare, direttamente dalla sede nazionale Fiom, ennesima riproposizione di una simil-Syriza o simil-Podemos, con risultati sottozero.

 

Ora però torna utile sventolare per un minimo di minutaggio televisivo la bandiera del giugno scorso, e poi rinfoderarla: “Non ho mai visto un livello di sfruttamento come adesso – proclama – dunque eravamo nel giusto”. Ma appunto quel che interessa a Landini si palesa subito dopo: “La Cgil ha lanciato la carta dei diritti universali del lavoro, questo va oltre tutti i contratti e i decreti. Raccoglieremo firme, faremo referendum, aboliremo le leggi di questo governo a cominciare dal Jobs Act”.

 

Dunque la “messinscena quotidiana del talk-show”, definizione peraltro ineccepibile, non offre al segretario della Fiom solo il metadone per alleviare la dipendenza, ma l’opportunità di svelare, almeno agli addetti ai salotti progressisti, il nuovo piano strategico: tentare un take-over su Susanna Camusso, che su quella carta dei diritti sta facendo campagna, e magari scalare il sindacatone rosso quando, nel 2018, scadrà il secondo mandato della segretaria.

 

[**Video_box_2**]Sarà questo il “ritorno al sindacato”? Certo qualunque cosa sia non avviene sull’onda dei successi. La disastrosa campagna anti Marchionne, con gli accordi separati di Cisl e Uil che hanno costretto la Fiom ad accodarsi: oggi Pomigliano e Melfi sono tra gli stabilimenti più produttivi d’Europa e proprio ieri sono stati definiti i bonus per gli operai. L’assenza Fiom dal tavolo del nuovo contratto di settore centrato su produttività, decentramento e welfare aziendale, modello che sta decollando e promette sviluppi un po’ a somiglianza della Uaw dei lavoratori americani dell’Auto: esempio, il fondo integrativo MetaSalute, costituito da Federmeccanica, Assistal (costruttori di impianti energetici), Fim-Cisl e Uilm, finora con 200 mila iscritti punta a raggiungere gli 1,8 milioni, diventando il primo fondo sanitario metalmeccanico europeo; e così Cometa, dove è presente anche la Fiom, sul fronte previdenziale. Con gli incontri preliminari in corso, il contratto dovrebbe essere firmato tra marzo e aprile, tra l’altro a ridosso dell’elezione del nuovo presidente di Confindustria; carica nelle previsioni destinata a un esponente della Federmeccanica, con conseguente mutazione anche imprenditoriale nel segno del pragmatismo. Si vedrà. Finora Landini registra pure il mezzo fiasco della manifestazione genovese per l’Ilva, organizzata dai duri della Fiom scavalcando lo stesso segretario.
Così più che dirsi “rovinato” dai “talkshow”, che pure non scherzano (“Ballarò” ha fatto il 3,96 per cento di share, scavalcato da “Dimartedì” su La7, entrambi stracciati dai Baci Perugina di Luisa Spagnoli, dai “Maghi del crimine” e da “Le Iene”), Landini potrebbe riflettere sul fallimento del suo radicalismo pop tutto politico, e sul rischio di passare alla storia come il sindacalista che mai portò a casa un contratto.

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