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Putin ha un grande nemico, il rublo. Parlano gli analisti russi

Gabriele Moccia
La cura dimagrante imposta dal Cremlino all’apparato pubblico pare dare i suoi frutti

Mosca. Il principale avversario del presidente russo, Vladimir Putin, si chiama rublo. La sua svalutazione è una costante dei cicli economici della Russia, ma, questa volta, la sua picchiata verso valori mai visti negli ultimi decenni ha trasformato il panorama del commercio del paese con il resto del mondo. Gli scenari economici per il 2016 sono diversi. I più ottimisti, tra i quali anche importanti esponenti del mondo economico italiano presente a Mosca, parlano addirittura di una crescita dell’1 per cento del Pil per la seconda metà dell’anno. A patto che i prezzi del greggio tornino a risalire almeno un po’, sui 50 dollari al barile circa. Altri, invece, preferiscono prudenza e tracciano proiezioni che delineano una crescita dello 0,2 per cento. Uno scenario non roseo, ma di certo non tragico. La cura dimagrante imposta dal Cremlino all’apparato pubblico – rilanciata ieri dal ministro dello Sviluppo economico, Aleksei Ulyukayev, che ha detto “non c’è più niente da attendere sulle privatizzazioni” – pare dare i suoi frutti.

 

La tempesta è passata? Difficile dirlo. Nell’ultimo bimestre del 2015, secondo i dati di Rosstat (il principale istituto di statistica con sede a Mosca), l’import di prodotti stranieri è caduto di 107 miliardi di dollari (meno 37 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2015. Un crollo delle importazioni – secondo il Cremlino – avrebbe dovuto favorire la crescita della produzione interna, eppure ciò non è avvenuto. Secondo alcuni analisti attivi in Russia interpellati dal Foglio, il problema resta il fatto che molti degli equipaggiamenti necessari per aumentare la produttività devono essere acquistati all’estero a costi ancora proibitivi. “L’estrema volatilità del rublo rende molto difficile prendere delle decisioni, gli investitori sono indecisi”, dice Dmitry Polevoy, capo economista di Ing Bank. Prendiamo il settore energetico. Anche in Russia erano in molti ad aspettarsi la rivoluzione dello shale gas (gas di scisto) e del petrolio non convenzionale (tight oil). Regioni ricche di gas come quella siberiana dello Yamal sono ricche di questi giacimenti. Eppure senza un adeguato scambio tecnologico con le compagnie energetiche straniere, sia Gazprom che Rosneft hanno dovuto abbandonare nuovi progetti di sviluppo. Il basso prezzo del petrolio, poi, ha fatto il resto. Discorso più o meno simile per il comparto agricolo-alimentare. A seguito dell’introduzione del blocco all’importazioni dei prodotti e macchinari europei da parte del governo russo (molti di questi italiani), le autorità economiche hanno raddoppiato gli incentivi per spingere i prodotti russi, dalla carne, al latte i formaggi e così via.

 

[**Video_box_2**]Ma anche in questo campo la domanda non è aumentata. Ed è per questo che tutti aspettano la fine delle sanzioni per riprendersi le proprie quote di mercato. Tedeschi, francesi e italiani in primis. Tutti pronti ai nastri di partenza. Come il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, che volerà prossimamente a Mosca per riallacciare i rapporti tra i produttori italiani e il mercato russo. La linea di Putin e dei suoi consiglieri e ministri economici continua a essere quella di sfruttare il basso prezzo del rublo per essere più competitivi nei mercati esteri. Un caso è quello del mercato delle auto. Il prezzo medio del prodotto di punta dell’automotive russo, la Lada Sedan, è calato da 10 mila dollari ad autovettura agli inizi del 2014, a circa 4 mila dollari di adesso. Un possibile vantaggio, sottolinea Vladimir Bespalov, analista di Vtb Capital (una delle principali investment bank del paese), ma quello che manca è un’adeguata catena logistica di trasporto e commercializzazione. C’è bisogno di tempo e di investimenti per tirare su una rete di distribuzione e promozione per rafforzare l’export dell’automotive russo, magari due o tre anni. Nel frattempo il vantaggio competitivo legato al prezzo della Lada potrebbe essersi volatilizzato per la possibile ripresa del rublo, conclude Bespalov. Quello che economisti e policy maker auspicano è l’avvio di una fase postpetrolifera. Un altro vaste programme.

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