Contro tutte le Affittopoli: privatizzare, privatizzare, privatizzare

Carlo Lottieri
Dismissioni prima, aiuti monetari poi. Una soluzione liberale e non populista ai soliti scandali sugli immobili di proprietà pubblica regalati (o quasi) agli amici

Periodicamente torna alla ribalta lo scandalo degli immobili di proprietà pubblica. Ora tocca a Roma, ma è solo questione di tempo e presto ci si occuperà di altre città. Quando si parla di Affittopoli, a ogni modo, è chiaro che ben al di là del caso-limite del monolocale di Borgo Pio a 10,29 euro al mese, si finisce per evocare il fallimento conclamato dell’interventismo: un disastro da cui si uscirà soltanto imboccando strade nuove. Per fare questo, però, è necessario focalizzare l’attenzione non tanto sull’indecenza degli appartamenti in centro, quanto invece sull’immenso patrimonio edilizio costruito nei decenni per soccorrere le famiglie più deboli.


Probabilmente l’errore di partenza è consistito nel credere che esista un disagio “abitativo”. Non è così. Il disagio è di tipo “economico” e se c’è gente che ha difficoltà a trovare una casa dignitosa è solo perché ha bassi redditi. Esiste allora un modo per migliorarne la situazione e consiste nel passare da aiuti permanenti “in natura” (l’appartamento a canone sociale) ad aiuti temporanei “in denaro” (il sostegno economico alle famiglie bisognose). E per fare ciò bisognerebbe avviare un piano di dismissioni che metta sul mercato le case popolari e converta questi immobili in un capitale destinato a finanziare questa forma di assistenza.

 

Aiutare una famiglia affinché trovi sul mercato una casa eviterebbe ogni segregazione abitativa. Se costruiamo case da destinare alle famiglie in difficoltà, è fatale che si abbia una concentrazione di “casi difficili”. Basta guardare al disastro dei quartieri Hlm parigini per capire che l’edilizia popolare è catastrofica soprattutto per i ceti più poveri. Per giunta, le famiglie bisognose preferiscono i soldi. Se mi danno una casa a prezzo calmierato nel quartiere Portuense, la prendo di sicuro, anche se i miei anziani genitori vivono a Pietralata. Ma se ricevo un aiuto di 500 euro posso cercare un appartamento vicino a loro. E magari posso anche trovare un locale che mi costa solo 400 euro e utilizzare quel che resta in altro modo.

 

C’è anche una ragione di giustizia che milita a favore di aiuti monetari, dato che in molti casi una famiglia riceve un’abitazione perché ne ha titolo e poi continua a beneficiarne anche quando non ne avrebbe più diritto. Il risultato è che alla fine si aiuta chi non lo merita. Per giunta la scelta di dare soldi, invece che case, favorisce una regola aurea di ogni politica di assistenza: e cioè che se si vuole fare il bene del prossimo, il sostegno deve essere di durata limitata. Per giunta, la riforma porrebbe fine a un sistema duale che per decenni ha visto sul mercato case a prezzo politico che hanno perturbato i prezzi, con ripercussioni negative sulle attività dei proprietari e delle imprese edilizie.

 

[**Video_box_2**]I vantaggi di una totale riconversione della politica abitativa in politica assistenziale, basata su sostegni finanziari, sarebbero insomma molteplici: A partire dal fatto che un processo di privatizzazione favorirebbe anche un recupero urbanistico di interi quartieri, oggi in cattive condizioni perché l’ente pubblico che dovrebbe prendersene cura non ha risorse e le usa male.

 

E' realistico che un processo di questo tipo si metta in moto? C’è solo bisogno che qualche amministratore locale abbia il coraggio di iniziare, mettendo sul libero mercato gli immobili e costituendo di conseguenza il capitale destinato all’assistenza. Ci sarà una fase intermedia, ma la città che avrà questo coraggio in pochi anni potrà davvero lasciarsi alle spalle i fallimenti del presente. Se c’è qualcuno capace di guardare al futuro, si faccia avanti.