Vincenzo Manes

C'è un piano del governo per attirare i filantropi. Parla Manes

Alberto Brambilla
L’imprenditore radical-renziano ci dice come la Fondazione Italia supererà ostacoli culturali e normativi

Roma. Il governo sta pianificando la creazione nei prossimi mesi di un istituto pubblico-privato per riunire filantropi italiani e fondazioni sotto un’unica entità. Vincenzo Manes, consulente ad personam e pro bono del presidente del Consiglio Matteo Renzi in materia di sociale e Terzo settore, è l'ideatore della futura Fondazione Italia per l’economia sociale che si propone di aggregare soggetti privati e risorse finanziarie per sostenere progetti di rilevanza nazionale. Manes dice al Foglio che il settore ha potenzialità inespresse sia a causa di ritrosie culturali sia soprattutto a causa della dispersione di risorse economiche. “La dispersione di risorse è stato un grande problema: da qui l’esigenza di una fondazione che serva da aggregatore. L’obiettivo è fare soltanto grandi cose, importanti, a livello nazionale con impatto internazionale, per uscire dalla logica della sopravvivenza, ovvero piccole donazioni per progetti di dimensioni modeste. Bisogna fare cose integrative rispetto alle altre che già conosciamo, ma c’è necessità di organizzazione. Negli altri paesi, penso agli Stati Uniti, il budget è enorme e personaggi come Zuckerberg, Gates e Buffet hanno una capacità finanziaria notevole. E’ con loro che bisogna ambire a competere. Vale lo stesso discorso che di solito si fa con la ricerca scientifica – dice Manes – Ma com’è possibile competere anche in questo campo se il bilancio statale è messo in pesante crisi? Inutile dire che se ne devono occupare dei privati, organizzati”. Negli Stati Uniti le donazioni arrivano a 300 miliardi di dollari all’anno, in Italia 9,9 miliardi nel 2011 e si arriva a sfiorare i 12 miliardi, dice Manes, se comprendiamo le donazioni alla Chiesa cattolica. “Il problema è che sono da 100 euro da 50 euro, sono cifre molto piccole e non ci sono fondazioni abbastanza grandi costituite da privati che mettono a sistema le attività filantropiche”.

 

Manes fa dunque un calcolo ipotetico per far comprendere le potenzialità di un’aggregazione sistematica delle risorse disperse: “Se in Italia abbiamo patrimoni privati per 4.000 miliardi di euro, solo l’1 per mille all’anno di questa somma, 4 miliardi, avrebbe un impatto sostanziale sull’economia, aggiungendo pure occupati in attività sociali”. Senza contare, dice, il valore dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti – banalmente chi muore senza eredi – che si può stimare tra il 2004-2020 in 105 miliardi di euro, secondo i calcoli della Fondazione Cariplo, azionista di Intesa Sanpaolo. “Occuparsi degli altri è una delle cose che si può fare in vita, non c’è bisogno di non esserci più per donare parte del proprio patrimonio”, dice Manes che ha fatto della filantropia un’attività parallela e complementare a quella di imprenditore. Classe 1960, laurea in Economia e commercio alla Luiss di Roma, Manes è fondatore e presidente esecutivo della società metallurgica Intek Group, core business trading di rame, e presidente della società di gestione del risparmio I2 Capital Partners, azionista di Alitalia-Etihad. Di simpatie e militanza radicale, conosce Renzi da un decennio, è renziano ante marcia, ed è tra i principali finanziatori della Fondazione Open con cui l’ex sindaco di Firenze sostenne la campagna politica per accompagnare la presa del Pd e poi di Palazzo Chigi nel 2014. Manes ha lavorato per la banca d’affari Citigroup a Milano e New York e dice che dopo avere vissuto negli Stati Uniti ha assimilato l’approccio americano alla filantropia: “Mi sono accorto che bisogna prendersi cura delle cose che non funzionano, o che potrebbero funzionare meglio, nella propria comunità. Se me ne prendo cura usando una parte del mio patrimonio, la mia comunità, la mia famiglia, e anche il mio portafoglio andranno meglio, facendo qualcosa di utile sia per gli altri sia per me”. Manes è presidente della Fondazione Dynamo, associazione onlus che si occupa dal 2007 di fornire assistenza ai bambini affetti da patologie gravi organizzando attività di terapia ricreativa nel camp di Limestre (Pistoia). Dynamo fa parte di un network internazionale di trenta campus (Hole in The Wall Camps Association) per bambini malati gravi, fondato nel 1988 dall’attore Paul Newman, scomparso nel 2008, che attraverso la Newman’s Own segue 3.000 progetti filantropici con oltre 400 milioni di dollari donati quest'anno. Gli utili generati vengono reinvestiti altre in donazioni, ovvero il meccanismo che sta alla base del “venture philantropy” cui Manes si ispira: finanziare progetti filantropici per potenziarli, quindi ottenere profitti e reinvestirli per migliorare l’impresa; un po’ come fanno i fondi di ventura con aziende che ritengono promettenti. Manes in qualità di presidente di Intek è anche l’unico membro italiano del comitato Encouraging Corporate Philantropy di cui fanno parte 143 società multinazionali e soprattutto colossi americani (Alcoa, American Express, Coca-Cola, Goldman Sachs, Macquarie, Siemens, Northrop Grumman, eccetera), una coalizione di top manager che si riunisce due volte all'anno a New York per discutere di attività filantropiche.

 

[**Video_box_2**]Che cosa vuole fare Fondazione Italia per l’economia sociale? “Essendo aperta alla partecipazione di fondazioni e soggetti pubblici e privati, diventa come un fondo strategico nel sociale con l’obiettivo di raccogliere fondi per un terzo dal pubblico e per due terzi da privati, fondazioni istituzionali italiane ed estere. E’ costituita come persona giuridica privata senza scopo di lucro, con un presidente di nomina pubblica con un board di 4 consiglieri pubblici, 4 privati e 3 di altre categorie. Sponsorizzerà progetti a fondo perduto che sono capaci di reggersi, essere sostenibili e svilupparsi nel medio lungo termine nel turismo, nell'ambiente, nel settore socio-sanitario. La scelta dei progetti non avviene per bandi ma con un sistema ‘top down’, cioè dall’alto verso il basso, è la Fondazione Italia che sceglie i progetti da finanziare”. Basterà a risvegliare i capitalisti italiani dormienti?

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.