Che errore sfidare Berlino e Washington insieme. L'anno prossimo, tutti con Draghi

Germano Dottori
“Non dichiariamo guerra, ma sulla legge di Stabilità non siamo al discount”, dice Renzi.
Detto ciò, prendere di petto Bruxelles e Berlino ha senso? Un girotondo di opinioni

Attaccare frontalmente la Germania e Bruxelles non è una strategia vincente. Può anzi seriamente indebolire l’Italia, specialmente se all’origine dello strappo si trova una questione sulla quale non siamo d’accordo con gli Stati Uniti, come il rinnovo delle sanzioni alla Russia. Intendiamoci, la loro persistenza non è nei nostri interessi nazionali, ma non possiamo sfidare contemporaneamente tedeschi e americani senza correre gravi pericoli. Nel 2011 Berlusconi pagò a caro prezzo questo azzardo. In uno scontro del genere non possiamo prevalere. E infatti al Consiglio europeo abbiamo fatto un buco nell’acqua. In più, avendo sorpreso Washington, che riteneva di aver acquisito il nostro appoggio alle sanzioni durante il G20 di Antalya, Renzi ha dovuto rinunciare a un caposaldo della sua politica mediorientale, annunciando all’improvviso il proposito di inviare 450 militari a Mosul, cioè in prima linea di fronte allo Stato islamico, dopo aver a lungo resistito a ogni sollecitazione proveniente d’Oltreoceano. E’ così divenuta più concreta la prospettiva di un nostro coinvolgimento in una sanguinosa battaglia campale contro le milizie del Califfo. Speriamo di scongiurare l’eventualità. Ma in futuro dovremo far tesoro di questa lezione, agendo con maggiore cautela e costruendo preventivamente il consenso intorno alle proposte che vogliamo sostenere.

 

Quanto al 2016, credo che Roma debba fare tutto quello che è in suo potere affinché la Banca centrale europea non cambi politica monetaria di fronte all'innalzamento dei tassi d'interesse appena deciso dalla Fed negli Stati Uniti. C'è infatti il rischio che, specie di fronte a una eventuale fuga di capitali verso l'America, dalla Germania e non solo possano venire pressioni affinché Mario Draghi riduca e metta poi fine al programma di Quantitative Easing. A noi un cambio alla pari tra euro e dollaro va benissimo. Un eventuale rialzo del costo del denaro in Europa stroncherebbe invece la ripresa e renderebbe di nuovo assai precario il finanziamento del nostro debito pubblico. Credo che su questo obiettivo sia possibile anche coagulare un’ampia maggioranza nel nostro paese. La prospettiva della bancarotta non alletta neanche gli euroscettici più radicali.

 

Germano Dottori è Docente di Studi Strategici presso la Luiss Guido Carli