Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

No, non è una crisi umanitaria

Marco Valerio Lo Prete
Crisi “ingigantita” delle banche e populismo finanziario. E poi l’agenda del 2016, con le riforme da fare senza pensare “al consenso”. “L’Europa? Merkel dovrà accettare compromessi”. Intervista al ministro dell’Economia, Padoan.

Roma. A legge di Stabilità appena approvata anche in Senato, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, consegna al Foglio due riflessioni su uno scorcio finale del 2015 decisamente frenetico a Via XX Settembre: sulle banche, la presa d’atto che la rivoluzione in corso nella loro gestione “coinvolge anche fattori culturali, nel nostro paese, con episodi di ‘populismo finanziario’ cui abbiamo assistito a proposito del decreto per salvare quattro istituti di credito”. Sull’Europa, la convinzione nel governo è che se si continua con gli attuali squilibri si rischia “una perdita secca” per Roma, da qui la decisione di alzare i toni nel confronto con Berlino. E poi annuncia due sfide per il 2016: per il policy maker l’occupazione e per tutti “l’anno degli investimenti, privati e pubblici”.

 

Iniziamo dalle banche. Dal 2016, complice il “bail-in” (cioè il salvataggio interno delle banche a carico di azionisti, creditori, obbligazionisti e in casi estremi i grandi correntisti), vivremo in un altro mondo. E’ d’accordo? “Il mondo non cambia dal 2016, sta già cambiando da tempo. Perciò abbiamo trasformato in Spa le grandi banche popolari, abbiamo accelerato le procedure fallimentari e altro ancora. L’Unione bancaria a livello europeo, se completata, rafforzerà la fiducia su cui si fonda ogni istituto di credito”. Intanto però il crac delle quattro banche salvate dal governo (Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara) intacca la fiducia dei risparmiatori: “Anche alla luce di questo episodio mi sento di dire che il nostro sistema bancario è complessivamente solido, non a caso l’operazione di sostegno ai quattro istituti è stata finanziata dalle altre banche”. E’ stato lei stesso però, nelle scorse settimane, a tirare in ballo la necessità di “operazioni umanitarie”, come a descrivere una situazione di disastro generalizzato: “Faccio mea culpa su quell’espressione, ripresa comunque dai media in modo parziale, senza completare il mio pensiero. Non volevo drammatizzare oltremodo, ma dire che erano da mettere in conto ‘drammi umani’”, dice il ministro Padoan. Che poi rileva, specialmente nella polemica politica e mediatica, “casi di evidente populismo bancario”: “Investitori” che invece per i media sono sempre e soltanto “poveri risparmiatori turlupinati”; per non dire dell’ingigantimento del numero e dell’entità dei casi degli obbligazionisti colpiti, invece “molto contenuti” in termini assoluti. “Mi consenta di tornare per un attimo al mestiere che mi è più caro, quello dell’economista. La vicenda delle quattro banche è viziata dall’asimmetria informativa tra venditori di prodotti finanziari e compratori. Le autorità devono aiutare questi ultimi, inclusi gli investitori retail, cioè i cittadini normali, a riequilibrare un po’ il terreno di gioco accrescendo la propria conoscenza finanziaria. E’ un fattore culturale, quello della scarsa educazione finanziaria, su cui l’Italia come paese deve lavorare”. Poi il ministro aggiunge che “la concentrazione della distribuzione dei prodotti finanziari nel sistema bancario” rende meno aggirabile l’asimmetria informativa.

 

A parlare di banche, si finisce dritti in Europa. C’è un doppio standard di Bruxelles, alla luce del salvataggio in corso della banca portoghese Banif con i soldi dei contribuenti? “No. Anche in quel caso l’aiuto è stato possibile solo dopo aver azzerato gli investimenti di azionisti e obbligazionisti subordinati. La differenza è che da noi il resto delle perdite è stato coperto dal settore bancario e non con i soldi dei contribuenti”. Come è stato spesso il caso dei lauti aiuti pubblici tedeschi agli istituti di credito di quel paese, “aiuti arrivati tra l’altro prima delle nuove regole europee”. Il sistema creditizio italiano è solido, il nostro paese è stato virtuoso nel fornire poche stampelle pubbliche alle banche – lo hanno ripetuto anche gli esecutivi precedenti – tuttavia nell’anno che si conclude Roma ha lamentato un trattamento penalizzante della Banca centrale europea sugli stress test bancari, ha dovuto rinviare la costituzione di una bad bank per assorbire i crediti deteriorati, si è vista stoppare dalla Commissione Ue il ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi per le quattro banche di cui sopra, e rimane con un giudizio sospeso di Bruxelles sulla legge di Stabilità. Non esattamente un bottino di cui vantarsi. Padoan prima indica “il fattore ‘discrezionalità’” che pesa in tanti dossier citati, poi va dritto al cuore della questione: “Negli ultimi giorni abbiamo impresso un cambio di passo politico, non retorico, al nostro operato a Bruxelles. Ciò non vuol dire che prima non ci fossimo accorti di nulla. Diciamo che ora tante, troppe vicende, si sono accumulate: a quelle da lei citate aggiungo l’immigrazione e la politica energetica”.

 

 

“A Bruxelles superata la soglia costi/benefici”

 

E’ come se si fosse superata “una soglia”, quella oltre la quale diventa evidente “la visione meramente nazionale che alcune leadership seguono. Gli europeisti diventerebbero ipocriti se non si rendessero conto di ciò. In questi mesi i costi delle scelte europee, per il nostro paese, stanno superando i benefici”. Da europeista a 24 carati, Padoan non spara nel mucchio ma fa capire di riferirsi a specifiche partite diplomatiche in corso: “Sullo schema di assicurazione comune dei depositi bancari, vitale per completare l’Unione bancaria come richiesto da Commissione e Bce, alcuni paesi vogliono che il rischio sia totalmente azzerato prima di condividerlo anche solo un po’. Se qualcuno pensa di fare della pedagogia a suon di fallimenti bancari, ricordo come andò con Lehman Brothers in America e osservo che soltanto un approccio troppo calvinista può ignorare che effetti sistemici di contagio esistono eccome”. Sempre in materia finanziaria, “quegli stessi paesi avanzano l’idea di un tetto alla quantità di titoli del debito pubblico nei bilanci delle banche; tale rigidità penalizzerebbe fortemente un paese come il nostro, con copiose emissioni. Infine, sulla politica energetica, noi siamo a favore di un mercato interno florido e non di una concentrazione dei flussi energetici in una sola parte d’Europa”. Dal “no” al terzo pilastro dell’Unione bancaria al Nord Stream 2, sembra che il filo conduttore dei problemi sollevati dall’Italia si chiami Germania. La cancelliera Angela Merkel “dovrà accettare compromessi” su alcuni di questi punti: “Perché se in Europa prevalesse un atteggiamento a trazione tedesca sul rischio bancario, sui titoli di stato, sulla flessibilità fiscale e sull’energia, allora l’Italia subirebbe una perdita secca. E’ un calcolo semplice da fare”. Ieri, intervistato dal Financial Times, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha preso di petto le politiche attuali dell’Eurozona, “l’austerity che alimenta le fiamme del populismo”. Chiosa Padoan: “D’accordissimo. Dallo scorso anno avverto: dai partiti anti europeisti, presto passeremo ai governi anti europeisti”. Palazzo Chigi ora è tra quelli? “No – sorride Padoan – Noi ci battiamo per evitare quella deriva. Dalla Commissione Ue arrivano molteplici segnali di fiducia alla volta di Roma. Gli irrigidimenti, oggi, dipendono da un malcelato inseguimento dell’interesse nazionale da parte di alcuni paesi”.

 

Dall’Europa al lavoro, visto che l’approvazione del Jobs Act fu utile lo scorso anno per conquistare credibilità a Bruxelles, ma soprattutto doveva servire a rilanciare l’occupazione. I numeri sono positivi, ma non così positivi: “Le riforme strutturali producono risultati crescenti nel tempo – dice Padoan – E il 2016 deve diventare ancora di più l’anno della contrattazione aziendale. Le parti sociali sono sovrane, ma se la riforma non arriva, interviene il governo. Aumentare produttività e occupazione è troppo importante”. Si avvicinano le elezioni in grandi città, e sorge il dubbio che il governo abbia messo la sordina alle riforme impopolari, spending review inclusa: “No, questo governo non si farà frenare da questioni contingenti di consenso. Anzi, la riforma della Pubblica amministrazione e quella delle banche del credito cooperativo, che arriveranno in uno dei primi Consigli dei ministri del 2016, potranno dare fastidio ai rispettivi ‘incumbent’ ma saranno portate a termine. L’agenda di riforme è il valore aggiunto di questo esecutivo”. 

 

In conclusione, Padoan promette che “il 2016 sarà l’anno degli investimenti. La ripresa in un primo momento è stata trainata dalle esportazioni, poi sono subentrati i consumi interni, adesso tocca agli investimenti pubblici e privati”. Con quali risorse, scusi? “I primi dipenderanno dallo sblocco di risorse che già c’erano ma che rimanevano inutilizzate. Penso ai fondi strutturali che potranno essere più facilmente spesi grazie al superamento del Patto di stabilità interno. Gli investimenti privati cresceranno perché la domanda interna aumenta, perché entrano in vigore agevolazioni fiscali come il superammortamento, infine perché si sta sbloccando il mercato del credito”. Dagli uffici del ministero fanno sapere, a questo proposito, che dal 23 novembre scorso perfino le quattro nuove banche sorte sulle ceneri di quelle fallite e oggi guidate da Roberto Nicastro hanno erogato 500 milioni di euro di crediti a più di 5.000 aziende del territorio.

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