Sergio Marchionne (foto LaPresse)

10, 100, 1.000 Marchionne. Ecco cosa serve al sud per crescere

Redazione
Nelle sue fabbriche in Campania e Basilicata sono tornati occupazione e produttività. Come convincere anche gli altri imprenditori?

Dal sud continuano ad arrivare dati negativi, da ultimo la previsione di crescita nel 2015 dello 0,1 per cento, dieci volte inferiore al resto d'Italia. La disoccupazione in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria supera il 20 per cento, il doppio della media nazionale, il triplo di Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna. L'indice tendenziale d'inflazione che su scala generale si attesta a un (misero) più 0,1, nei capoluoghi meridionali scende fino a meno 0,8. Nella legge di Stabilità il governo dà al Mezzogiorno un bonus di 500 milioni, e intanto annuncia un Masterplan da 80 miliardi fino al 2020 tra investimenti pubblici, infrastrutture, incentivi da definire. Un altro piano quinquennale in salsa assistenzialista, dopo che in 60 anni si sono erogati 400 miliardi di euro, a valori storici e senza contare i fondi europei?

 

Al sud servirebbero piuttosto cinque o dieci Marchionne: nelle sue fabbriche in Campania e Basilicata sono tornati occupazione e produttività. Marchionne però gli stabilimenti se li è trovati: come convincere altri come lui, visto che nel 2014 gli investimenti fissi lordi sono stati 57 miliardi su 271 dell'intera Italia? Il ritorno alle gabbie salariali, cioè a stipendi differenziati rispetto al centro-nord, non sono un'eresia. Occorre certo fissare una paga minima nazionale: ma i sindacati si oppongono in difesa dei contratti unici. Lo stesso obiettivo può essere perseguito con trattamenti fiscali di favore regione per regione: qui servono amministratori capaci e lo stop ai trasferimenti statali. Entrambe le ricette sono praticate in paesi come gli Usa, la Gran Bretagna, la Finlandia: non proprio nel terzo mondo.