Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Senza “salvabanche” i danni dei bad banker sarebbero enormi

Renzo Rosati
Sia Renzi, sia quelli che cavalcano l'onda emotiva dopo il suicidio del pensionato raccontano solo metà della storia sulla vicenda dei 4 istituti salvati dal governo

Roma. Sulla scia del suicidio (sul quale la procura di Civitavecchia ha aperto un fascicolo che vede l’istigazione al suicidio come ipotesi di reato) di un investitore di vari prodotti e strumenti borderline di Banca dell’Etruria e del Lazio penalizzato in forza della nuova legislazione bancaria necessaria a salvare dal fallimento quell’istituto, insieme ad altri tre della stessa risma, numerosi esponenti politici bipartisan e perfino i vertici dell’assemblea permanente dei vescovi italiani (Cei) si sono sentiti titolati a produrre una difesa gagliarda dei risparmiatori ingannati – ma non si sa fino a che punto – dalle loro banche di fiducia. Il dibattito mediatico sta sposando la solita deriva umanitarista, modello “esodati da salvare”, cieca davanti all’evidenza che senza un meccanismo di risoluzione ante-fallimento – per la prima volta a carico dei privati e non dei contribuenti – i danni di un default multiplo delle quattro banche sarebbero stati enormi.

 

Per entrare nel merito, i risparmi investiti in obbligazioni subordinate non avrebbero subìto migliore sorte senza il decreto “salvabanche” approvato dal governo la domenica e divenuto operativo lunedì 23 novembre. Con quella operazione infatti sono state commissariate – attraverso un fondo da 3,5-4 miliardi costituito da capitali privati del restante sistema bancario – oltre all’Etruria, la CariFerrara, Banca Marche e CariChieti, per un totale di 6.069 dipendenti, circa 400 mila correntisti e depositi garantiti (fino a 100 mila euro) per 12,5 miliardi. E’ stato azzerato, è vero, il valore delle azioni in mano a grandi e piccoli titolari, così come 728 milioni di bond come quelli dello sventurato Luigino D’Angelo: ma con il fallimento ormai alle porte il costo economico e sociale sarebbe stato di molto superiore, sarebbe esploso il rischio-contagio, e quei 12,5 miliardi sarebbero stati pagati dai 41 milioni di contribuenti italiani per un costo di 305 euro a testa. Sono queste cifre, e questa alternativa, che dovrebbe tenere in mente chi in queste ore prova a cavalcare l’onda emotiva generata dal suicidio di D’Angelo –  partiti, associazioni dei consumatori, talk-show. Il segretario generale della Cei Nunzio Galantino accusa l’Europa di “pensare solo al pil”, quasi che crescita e ricchezza fossero anch’esse “sterco del diavolo”. Non solo. Se oltre alle quattro banche si fossero salvati azionisti e obbligazionisti – i quali ultimi altro poi non sono che prestatori di denaro per loro scelta, e a interesse salato – oltre a violare ogni regola europea e la stessa e sempre citata Costituzione italiana (la legge è uguale per tutti, dunque perché loro sì, e non le vittime di Equitalia o chi perde il lavoro? Anch’essi talvolta decidono di farla finita), si sarebbe subito creata un’altra categoria con diritto perpetuo alla tutela pubblica, come gli esodati, i cassintegrati, i lavoratori socialmente utili e via finanziando, con deficit da scaricare sulle generazioni future. Eppure, quando in base a tutto questo Matteo Renzi invita giustamente a non speculare sul suicidio di D’Angelo, e poi propone una meno convincente commissione d’inchiesta (che non si nega mai), commette volontariamente o meno un peccato di omissione.

 

[**Video_box_2**]Perché le regole del bail-in – salvataggi bancari a carico di azionisti e obbligazionisti di ogni foggia – entreranno in vigore dal prossimo primo gennaio nell’Unione europea, anche in Italia, e allo stato attuale i soli esenti da rischi sono appunto i titolari di conti correnti fino a 100 mila euro e quelli di obbligazioni non subordinate (dipendenti, fisco, enti previdenziali, fornitori). Poi in futuro verranno, forse, le polizze assicurative e il fondo di garanzia europeo. Ma di tutto questo quanto si sa tra i cittadini e, di nuovo, i contribuenti? Quanto, soprattutto, le banche dicono ai loro clienti, a parte i moduli sulla privacy, del loro conflitto d’interessi? Quanto si danno da fare per spuntare le condizioni migliori nelle sedi europee i rappresentanti italiani, invece “tutti presi nel dibattito politico a immaginare un’Europa da rivendere ai propri elettori come vessatrice e produttrice di regole assurde?”.