Jens Weidmann, presidente della Bundesbank (foto LaPresse)

Le banche in tedesco

Affossati gli Eurobond, a Berlino c'è chi vuole il bis per l'Unione bancaria

Renzo Rosati
Weidmann si immola contro l’Ue che preme per un fondo unico di aiuto alle banche. Schäuble è con lui

Roma. Quasi avessero sincronizzato gli orologi, i vertici della Commissione europea e della Banca centrale europea da una parte, e del governo tedesco e della Bundesbank dall’altra, hanno rispettivamente rilanciato e sabotato il piano per la garanzia unica dei paesi euro sui conti correnti fino a 100 mila euro; tra gli ultimi e più importanti tasselli dell’Unione bancaria. Una rappresentazione che ricorda molto quella dell’inizio della crisi quando Berlino si oppose strenuamente e con successo agli Eurobond. Allora si trattava di mutualizzare i debiti pubblici, stavolta i rischi privati in caso di bail-in delle banche; ma il refrain è lo stesso: “Non saranno i nostri contribuenti a farsi carico dei problemi altrui”, dice un portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. L’ultimo a intervenire, con un’intervista all’ultrapopolare tabloid Bild (a riprova della sensibilità dell’establishment alla cosiddetta pancia del paese), è stato Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. “Le premesse per una garanzia unica non ci sono in quanto i sistemi bancari nazionali dipendono ancora fortemente dalla politica dei singoli stati. Le ricadute di politiche sbagliate verrebbero redistribuite su tutti i risparmiatori dell’Eurozona”, dice Weidmann, forse un po’ trascurando quanto in Germania le banche siano protette dalla politica. Weidmann, come consigliere della Bce, è anche il più tenace oppositore della politica espansiva attuata da Mario Draghi.

 

Così aggiunge il banchiere centrale tedesco Weidmann in un’intervista alla Bild: “Finché le banche avranno in portafoglio quote elevate di debito pubblico nazionale la garanzia europea comporta che si mettano in comune i rischi del debito”. Ecco rispuntare dunque il legame con gli Eurobond, forse il maggior motivo sottostante all’ostilità verso il piano di garanzia unica presentato dalla Commissione e sostenuto strenuamente e pubblicamente anche da Draghi. La quota di titoli di stato nazionali nelle banche tedesche, poco meno del 30 per cento, non è molto inferiore a quella delle banche italiane; le olandesi ne hanno molti più di quelle francesi. In assoluto sono le banche spagnole le più nazionaliste in fatto di titoli pubblici eppure nel 2013 Madrid è ricorsa agli aiuti europei per ripulire il settore bancario proprio su pressing della cancelliera Angela Merkel. Dunque in ballo più che un rischio sembra esserci un principio, ovvero quello della mutualizzazione dei debiti.

 

[**Video_box_2**]Nel 2010-2011 a sostenere gli Eurobond erano Jean-Claude Juncker, allora presidente dell’Eurogruppo, e Giulio Tremonti. Il ministro dell’Economia italiano è uscito di scena, Juncker è stato promosso alla guida della Commissione di Bruxelles, gli Eurobond sono scomparsi dai radar, e le maxi-visioni comunitarie sono tornate con i piedi a terra. Così è in attuazione il “Manifesto dei cinque presidenti” – oltre a Juncker e Draghi, quello del Consiglio europeo Donald Tusk, quello dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e quello dell’Europarlamento Martin Schulz – che prevede come passaggio chiave per arrivare a una completa ed efficace Unione bancaria europea “un sistema europeo di garanzia dei depositi”, detto Esid. E martedì 24 a Strasburgo il commissario agli Affari finanziari Jonathan Hill, conservatore inglese, ha illustrato questo piano Esid: “La riduzione del rischio procederà passo passo con la sua condivisione. Questo è il nostro obiettivo”. Dal 2017 al 2024 sono previsti successivamente un meccanismo di riassicurazione, co-assicurazione e piena assicurazione sui depositi per accompagnare il passaggio dalle garanzie nazionali al ricorso a un fondo da 45 miliardi di euro finanziato dei paesi euro. Benché Merkel, appoggiando la candidatura Juncker alla Commissione, abbia esibito il “Manifesto dei cinque” come prova tangibile di euro-riformismo, e soprattutto abbia fortemente voluto l’introduzione dal 2016 del bail-in per i fallimenti bancari – a carico di privati azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre 100 mila euro – la Germania ha cominciato subito a boicottare la garanzia unica, che dovrebbe essere appunto l’essenziale complemento della procedura di bail-in per evitare contagi o fughe di clienti da una banca in conclamata difficoltà. Per prima si è schierata contro la European banking federation, che rappresenta 32 associazioni bancarie nazionali e 4.500 banche, nella quale il mood tedesco risulta prevalente. La Ebf ha definito “sorprendenti” le dichiarazioni di Hill, che pure rappresentavano un atto dovuto per il Parlamento di Strasburgo. Nelle stesse ore a Milano la francese Danièle Nouy, capo della nuova Vigilanza bancaria della Bce, in una riunione a porte chiuse con i banchieri italiani illustrava la situazione dei crediti in sofferenza a livello europeo (in Italia rappresentano il 16,7 per cento dei prestiti e sono oggetto di una faticosa trattativa con Bruxelles sulla bad bank dove andrebbero stivati per poi essere rivenduti a investitori specializzati), a loro volta causa prima di possibili bail-in. Infatti François Villeroy de Galhau, appena nominato governatore della Banque de France, in un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt si è schierato decisamente a favore della garanzia unica, “per far capire concretamente a ogni europeo che può avere fiducia nel sistema”. Stavolta, forse, la Germania ha meno alleati che sugli Eurobond.

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