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Binario biforcuto

La privatizzazione di Fs o sarà a “pacchetti” o non sarà un successo

Alberto Brambilla
Il governo vuole vendere in Borsa una quota delle Ferrovie ma abbondano le divergenze su come dovrà accadere. Oltre lo scontro Elia-Messori.

Roma. La volontà di privatizzare le ferrovie pare per una volta condivisa dall’intero establishment economico-politico italiano, tuttavia sussistono sostanziali divisioni sulle modalità di realizzazione del progetto a lungo rinviato. Il governo Renzi ha forzato la mano lunedì approvando in Consiglio dei ministri il piano per cui lo stato venderà sul mercato il 40 per cento del gruppo Fs mediante quotazione in Borsa entro il 2016, conservando quindi il 60 per cento delle quote. Molti dettagli essenziali sono ignoti ma delle polemiche sono piene le cronache. La disputa parrebbe riguardare essenzialmente il destino della rete ferroviaria che secondo il governo dovrà restare in mano pubblica. In realtà le divergenze emerse in questi mesi sono più ampie e non riguardano soltanto la rete – che resterebbe comunque in mano pubblica visto che lo stato avrebbe la quota di maggioranza nell’azionariato di Fs una volta sbarcata in Borsa – quanto le modalità di privatizzazione. Il cda di Fs ne discuterà giovedì e contestualmente deciderà delle dimissioni del presidente Marcello Messori e dell’ad Michele Mario Elia; nominati da Renzi nel 2014 ma ormai arrivati pubblicamente ai ferri corti per enormi divergenze di vedute. Messori è portatore di un disegno di privatizzazione di alcune delle dodici divisioni della holding Fs da mantenere pubblica. Elia, ex ad di Rfi, invece vorrebbe procedere alla quotazione senza prima scorporare gli asset. Chi ha ragione?

 

La linea Elia è condivisa dal Tesoro, azionista di Fs. Quella Messori trova favorevole, per quanto riguarda lo scorporo della rete, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio. “Purtroppo le strade non sono alternative”, dice al Foglio Ugo Arrigo, esperto di trasporti dell’Università Bicocca e consulente del piano Prodi di ristrutturazione delle Ferrovie del 1997 che prevedeva lo scorporo di gestione della rete, trasporto a lunga percorrenza, regionale e cargo. “La linea Messori-Delrio è l’unica praticabile. Se lasci la rete all’interno della società da privatizzare, quella società diventa automaticamente non più privatizzabile. La rete ferroviaria ha un valore di bilancio di 35 miliardi di euro ma ha una redditività dell’1 per cento e questo zavorrerebbe la nuova azienda che non sarebbe d’interesse per un investitore in cerca di profitti. La redditività di un servizio di trasporto è invece certa e più alta. L’idea che tutto può andare sul mercato, compresa una rete di 17.000 km nel complesso non redditizia, non va”.

 

[**Video_box_2**]La Gran Bretagna aveva spacchettato completamente il settore ferroviario pubblico affidando a terzi sia i servizi sia la rete, ritenendo addirittura di poterla trattare come un asset capace di generare flussi finanziari. Un errore cui il governo ha riparato nei primi anni Duemila riportando la rete nell’alveo pubblico con l’affidamento della gestione a Network Rail. L’intenzione ora non sarebbe quella di ri-nazionalizzare la rete ma di dividerla in una serie di altre piccole società con gruppi separati deputati a gestire la manutenzione o a potenziare i collegamenti interurbani e locali. Gli operatori ferroviari in Francia, Germania e Italia sono storicamente refrattari alla separazione della rete dal gruppo madre e si oppongono con diverse motivazioni. Elia da ex amministratore delegato di Rfi, la società che gestisce la rete Fs, si fa portatore delle istanze del monopolista, ancorato al modello centralista francese costoso da mantenere a elevati livelli di efficienza. Il governo tedesco sta discutendo, un po’ sul modello Messori, dello scorporo dei business internazionali di Arriva (trasporto pubblico) e di Schenker (logistica) dalla holding Deutsche Bahn che dovrebbe conservare delle quote di minoranza. Il consiglio di supervisione è in dubbio se vendere delle partecipazioni in Borsa o se trovare dei compratori, ad esempio i fondi pensione, cui cedere direttamente asset. A gestire la privatizzazione di Fs dopo le probabili dimissioni dei vertici è candidato Renato Mazzoncini, ad di Busitalia, l’artefice della cessione dell’azienda di trasporto pubblico fiorentina a Fs durante la sindacatura Renzi. Mazzoncini è cresciuto nella società lombarda di trasporto locale Autoguidovie, di cui è ancora ad, di proprietà della famiglia di costruttori Ranza.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.