Il rischio di regolamentazioni travestite

Alberto Mingardi
L’orizzonte internazionale si è fatto più cupo. Liberare settori e mercati è una valida difesa. Il ddl Concorrenza basta? Cos’altro serve? Girotondo di idee

Primum non nocere. Non ci si poteva aspettare dal ddl Concorrenza una rivoluzione copernicana: non era quello l’obiettivo. La legge annuale sulla concorrenza è pensata per stringere qualche bullone, non per una riforma organica di questo o quel settore. Ha fatto bene il governo Renzi a sfornarne finalmente una. Che il Parlamento la peggiorasse, era in qualche misura prevedibile. E’ surreale però che un provvedimento del genere diventi un “cavallo di Troia” per promuovere una patente violazione della libertà contrattuale. Che cos’altro è il divieto della clausola del “rate parity”? Le piattaforme on line che vendono soggiorni alberghieri esigevano, contrattualmente, che gli hotel che le utilizzano non praticassero altrove, sulla rete, tariffe inferiori. La libertà economica è libertà di sottoscrivere contratti, di impegnarsi a vicenda. Ma il Parlamento la pensa diversamente, e il consenso sul tema “parity rate” è stato pressoché unanime. Nessuno ha pianto se dal testo del governo sono stati sfilati via via portabilità dei fondi pensioni, o i tentativi di trovare una soluzione “di mercato” per calmierare i rincari dell’Rc Auto. L’una cosa e l’altra tradiscono una certa sfiducia nei confronti sia dei produttori che dei consumatori. I primi tendono a fregare il proprio prossimo e non vedono al di là del proprio naso. I secondi hanno bisogno di essere protetti, essendo naturalmente incapaci di comprendere qual è il proprio interesse. Le liberalizzazioni hanno effetto nel medio termine, non sono pozioni magiche. Ma il beneficio che possono apportare, in termini di crescita, viene dal fatto che scambi e transazioni, che altrimenti non avverrebbero, diventano possibili. Se si conferma che lo stato è liberissimo di mettere il naso nei contratti, e per giunta non per questioni di vita o di morte, è difficile dire che stiamo “liberalizzando”. Per liberalizzare con convinzione, servirebbe avere un minimo di fiducia nell’esito dell’incontro spontaneo fra produttori e consumatori. Se il legislatore crede di sapere, meglio di noi, quel che è meglio per noi, le “liberalizzazioni” rischiano di essere solo “neo-regolamentazioni” travestite.

 

Alberto Mingardi (direttore Istituto Bruno Leoni)

 

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