Tito Boeri (foto LaPresse)

Nella proposta di assistenza di Boeri c'è un che di andreottiano

Francesco Forte
Un'idea criticabile, quella di assistere e incentivare la vecchiaia precoce

Il problema della povertà per le persone anziane, non in grado di lavorare o che pur cercando un’occupazione non riescono a trovarla, è un grave problema di esclusione sociale. Ma la proposta del professore Tito Boeri, presidente dell’Inps, di introdurre un nuovo tipo di pensione, quella riguardante il reddito minimo garantito per le famiglie con persone inattive sopra i 55 anni, appare fortemente criticabile. Nonostante i suoi orpelli formali, somiglia molto ai prepensionamenti varati negli anni 70 e 80, in particolare su iniziativa della Democrazia cristiana e del Pci, per guadagnare voti e per risolvere il problema della disoccupazione mediante la pensione in età lavorativa. La proposta Boeri è concepita con uno schema perfezionistico astratto, che si presta a innumerevoli obiezioni, per la sua applicazione. Fa riferimento alla famiglia di fatto, non a quella legale, il che crea due problemi: quello della definizione del “fatto” e del suo controllo e quello dell’incentivo a spostarsi da un nucleo famigliare che non ha diritto al reddito minimo a uno che ne ha, allargandolo, almeno in apparenza. Per definire il diritto a questa pensione anticipata sociale, si escludono coloro che posseggano un alloggio che valga (sul mercato?) almeno 150 mila euro.

 

Ma una persona anziana, senza lavoro e senza pensione, può vivere in una abitazione che vale più di 150 mila euro ed essere comunque indigente. Se vende la casa che vale 150 mila euro, anche se dal patrimonio che ottiene, riesce a ricavare il 3 per cento netto di reddito annuo, cosa non facile, si troverà solo con 4.500 euro. E ci dovrà pagare l’affitto oltreché le spese quotidiane. Né può agevolmente permutare la sua casa con una che valga meno di 150 mila euro, per avere diritto alla pensione sociale. Inoltre, che senso ha adottare per questa pensione per il nucleo familiare (a cui si può aver diritto a partire da 55 anni di età) dei nuovi criteri diversi da quelli che valgono per la pensione sociale personale a cui l’indigente può avere diritto passati i 65 anni? Oppure la pensione sociale, in futuro, dovrà sparire e far posto a quella per il nucleo famigliare? Ma nel frattempo avremmo un modello da 55 a 65 anni e un altro sopra i 65 anni. Comunque, appare ovvio che la pensione precoce incentivi la rinuncia a cercare un lavoro e una crescita del lavoro sommerso. Sarebbe invece logico stabilire una indennità di disoccupazione per le persone ultra cinquantenni iscritte alle liste di collocamento e non rinunciano al lavoro che gli viene offerto, salvo se esistano plausibili motivi, controllati dall’ufficio del lavoro. Chi non ha mai lavorato prima, perché viveva a carico di altri, e ha molta difficoltà a trovare un lavoro, superati i 55 anni potrebbe usufruire di una indennità di disoccupazione prolungata (non pensione) iscrivendosi alle liste di collocamento. Perché, però, devono contare solo i 55 anni e l’inattività e non altri requisiti come l’invalidità parziale, la salute precaria, la residenza in località isolata di persone sole, l’aver fatto un lavoro domestico non retribuito, che non dà diritto a pensione e rende più difficile l’inserimento nel mercato del lavoro in età avanzata?

 

[**Video_box_2**]Infine, il finanziamento della proposta Boeri è illogico. Le pensioni sociali non vanno finanziate con fondi del sistema pensionistico contributivo, ma a carico del bilancio pubblico ordinario, con la spending review generale. E, se le coperture sono difficili, perché porre il limite a 55 anni e non per esempio a 58 anni? Perché questo tabù culturale della vecchiaia precoce?

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