Roberto Perotti, commissario al taglio della spesa pubblica

Roma, abbiamo un problema

Beato il paese che non ha bisogno di eroi per tagliare la spesa pubblica

Renzo Rosati
Esempio unico di tenacia nella lista dei caduti alla spending review, il cui ultimo esempio è Roberto Perotti, professore alla Bocconi, nominato commissario al taglio della spesa pubblica da Matteo Renzi dopo l’addio del più celebre e movimentista dei predecessori, Carlo Cottarelli, funzionario del Fondo monetario internazionale.

Roma. “Siamo un paese in cui si detraggono dalle tasse le finestre e le palestre”: era il giugno 2011 e Giulio Tremonti se la prendeva con una spesa pubblica “che è come andare al bar e dire: da bere per tutti! E poi chi paga?”. Nella giungla di 470 regimi fiscali di favore pari a 150 miliardi l’allora ministro dell’Economia aveva nominato consulente al disboscamento Vieri Ceriani, già dirigente dell’area tributaria della Banca d’Italia. Ceriani produsse un immenso foglio Excel con tutte le voci detraibili e relativo costo, colorate per importanza, e oltre a finestre e palestre c’erano abbonamenti al bus, ospedali, teatri, musei, enti culturali. Le palestre saltarono, le finestre sono ancora lì; soprattutto ci lasciò le penne Tremonti assieme al Cav. Ceriani invece è sempre consigliere del ministero dell’Economia, ma per il rientro dei capitali dalla Svizzera. Esempio unico di tenacia nella lista dei caduti alla spending review, il cui ultimo esempio è Roberto Perotti, professore alla Bocconi, nominato commissario al taglio della spesa pubblica da Matteo Renzi dopo l’addio del più celebre e movimentista dei predecessori, Carlo Cottarelli, funzionario del Fondo monetario internazionale.

 

“Mi sono dimesso, non mi sentivo più molto utile”, ha detto Perotti, e il motivo resta quello dei tempi delle finestre e delle palestre: il mancato taglio di sgravi fiscali che nella versione dell’interessato valevano 1,5 miliardi, e in quella di Renzi quattro, cifra che secondo il premier avrebbe attirato sul governo l’accusa di cancellare la Tasi con una mano per togliere soldi con l’altra. Chiunque abbia ragione, è evidente che non si trattava di brandire l’ascia né sulle agevolazioni salite intanto a 180 miliardi, né su una spesa pubblica che resta pressoché immobile intorno al 51 per cento del pil, 800 miliardi e passa. Terza in percentuale in Europa dopo Francia e Grecia, ben davanti alla Germania, per non parlare della Gran Bretagna. Graduatoria rimasta immutata durante la crisi, mentre la spesa aumentava in termini assoluti, e con lei il debito pubblico italiano, mentre altrove (Francia esclusa) diminuiva, con l’esempio su tutti di Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e Olanda. Per questo, in quello che il Foglio del 15 ottobre definiva il “cimitero” dei commissari italiani alla spesa, troviamo una sfilza di lapidi: Piero Giarda, Enrico Bondi, Mario Canzio, Cottarelli. Ora Perotti. Anche una fugace apparizione di Francesco Giavazzi, chiamato da Mario Monti nel 2012. Resta in campo Yoram Gutgeld, che però è anche deputato Pd di osservanza renziana. Salvo eccezioni, tra le quali Cottarelli, quasi tutti hanno lavorato gratis, contribuendo così, se non a tagliare la spesa, a non aumentarla. Cottarelli è anche la loro star: designato da Enrico Letta, rimasto in bilico con Renzi, subito soprannominato “mister Forbici” dai giornalisti fan, ai tagli mancati ha dedicato un libro – “La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare” (Feltrinelli) – un blog, una notevole presenza mediatica. La sua tesi è che siano le burocrazie ministeriali, alte e basse, a fare catenaccio. Giavazzi sostiene infatti che debba essere il capo del governo in prima persona a metterci la faccia. E se ci guardiamo intorno come dargli torto?

 

[**Video_box_2**]Lunedì 9 novembre, mentre Perotti si dimetteva, a Londra il cancelliere dello Scacchiere George Osborne annunciava un nuovo taglio di spesa pubblica pari al 30 per cento dei fondi di quattro ministeri (Trasporti, Ambiente, Tesoro, Autonomie locali), e trattative in corso con altri, per azzerare in quattro anni il deficit di bilancio pari a 99 miliardi di euro.

 

Anche in piena campagna per le elezioni dello scorso maggio Osborne non aveva esitato ad annunciare l’aumento della Vat (l’Iva inglese) e dei contributi previdenziali. Si è scontrato con il segretario del Lavoro Iain Duncan Smith, al quale chiede di risparmiare 12 miliardi di sterline. Il premier conservatore David Cameron, all’inizio del primo mandato nel 2010, era andato a Westminster e aveva fatto il giro delle televisioni per annunciare tagli alla Difesa, comprese portaerei e fregate simbolo della ex potenza imperiale, a welfare, immigrazione e trasporti pubblici. I primi ministri irlandesi Brian Cowen e Enda Kenny, succedutisi durante la crisi, hanno ridotto di cinque punti il peso della spesa pubblica, con l’obiettivo di scendere di altri due, cioè dieci sotto l’Italia. E così il premier spagnolo Mariano Rajoy, che ha tagliato la spesa dal 48 al 43 per cento del pil. All’uscita dalla recessione Dublino, Londra e Madrid hanno fatto segnare i maggiori aumenti della ricchezza nazionale e del reddito individuale. Nessuno ha delegato la pratica a zar né a mister Forbici.