Renzinomics al microscopio

Redazione
Il piglio giusto su Europa e sinistra. Le troppe carenze su spesa pubblica e Pa. Grillo, tasse, debito e deliri onirici della siIl piglio giusto su Europa e sinistra. Le troppe carenze su spesa pubblica e Pa. Addetti ai lavori a confronto sul manifesto del premier svelato dal Foglio

Era la prima volta che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si presentava di fronte a una platea con un lungo discorso scritto, e l’occasione scelta dal segretario Pd è stata quella dell’Assemblea dei gruppi parlamentari, convocata lunedì 3 novembre. In quel discorso il premier ha messo nero su bianco quella che è la nuova agenda del governo, con i punti forti della legge di Stabilità, le contro argomentazioni offerte alla sinistra delle tasse e le motivazioni che fanno di questa fase politica, parole di Renzi, “il momento migliore dall’inizio della legislatura”. Il Foglio è entrato in possesso del testo completo dell’intervento e sabato scorso ne ha pubblicato ampi stralci, poi ripresi domenica un po’ da tutti i giornali. In quelle pagine, Renzi critica chi sostiene che il cambiamento che sta portando avanti il governo sia avvenuto per ragioni esterne – “il cambiamento avviene perché così ha deciso il più grande partito politico italiano, nessuno pensi che arrivi per fattori esterni”. Ricorda che nonostante le gufate dei Brunetta “i numeri c’erano, ci sono, ci saranno, la maggioranza parlamentare non è in discussione”. E poi arriva a parlare di tutto il resto: tasse, Grillo, deliri onirici della sinistra. Abbiamo chiesto a economisti e analisti di commentarlo. Domani una seconda puntata.

 

Qui potete leggere il discorso integrale del presidente del Consiglio all'Assemblea dei gruppi parlamentari

 


 

Fuoriuscita dal paradigma socialdemocratico, politiche dell’offerta e fine del neocorporativismo. Bene. Ma tra teoria e prassi…

di Stefano Cingolani

 

Forse non l’ha detto perché lo riteneva scontato o per non esasperare un clima interno già infuocato, ma da tutta la impostazione della Renzinomics, anzi del renzismo in sé e per sé, emerge il riconoscimento che una sinistra moderna in Europa deve muovere i propri passi fuori dal paradigma socialdemocratico. Passi incerti, ma inevitabili perché quel modello è finito anch’esso con la fine del comunismo. In fondo era stato un socialdemocratico tedesco a riconoscerlo, il tanto esecrato (a sinistra) Gerhard Schröder. La socialdemocrazia nasce nella Berlino bismarckiana, si trasforma abbandonando il marxismo a Bad Godesberg, muore sotto le macerie del muro. Lo avevano riconosciuto anche Walter Veltroni e Enrico Letta, ma non ne avevano tratto le conseguenze politiche. [continua]

 


 

Il deficit conta più della spending review. Tutto quello che dovreste sapere sulla legge di Stabilità (e che Renzi non vi ha detto)

di Riccardo Puglisi

 

La difesa della legge di Stabilità da parte di Matteo Renzi davanti ai gruppi parlamentari del Pd può essere letta come un manifesto economico di Renzi stesso, in quanto contiene le sue idee sullo sviluppo del paese e sulle sue pubbliche finanze, cioè tasse, spese e deficit. Sotto questo profilo, il modello economico che Renzi ha in testa può essere desunto non solo da quanto egli ha detto ma soprattutto da ciò che ha deciso di non dire, o di non enfatizzare. Intendiamoci: chi vuole persuadere qualcuno non può che scegliere gli argomenti migliori a suo favore, ma sconta sempre il rischio di essere svelato grazie a silenzi e omissioni. [continua]

 


 

Quel richiamo continuo alla “fiducia” lo potremmo ricordare presto come “la rivoluzione delle pantofole”

di Nicola Rossi

 

Tecnicamente, si chiama “to rally the troops”. Un breve o lungo discorso inteso a tenere alto il morale delle truppe in prossimità della battaglia. Generalmente denso di riferimenti alle vittorie ottenute in passato ed evocativo di un futuro ancora più ricco di successi. Costruito per infuocare gli animi dei commilitoni ed intimorire gli avversari. Il genere letterario cui appartiene il recente discorso del segretario del Pd all’Assemblea dei gruppi parlamentari è facilmente individuato. E in quanto tale, non avrebbe alcun senso condividerne questa o quella affermazione (e ce ne sarebbero) o contestarne questo o quel passaggio (e non mancherebbero). Del resto, nessuno si aspetta che in discorsi di questo tipo il comandante in capo dica la verità: non è questo, infatti, che vogliono sentirsi dire i soldati e non è questo che gli verrà detto. Insomma siamo più nel campo militare che non in quello della politica. [continua]

 


 

Rimane un grande mistero su cosa ne sarà della Pubblica amministrazione, e quindi del paese 

di Franco Debenedetti

 

Non l’ho studiata, la legge di Stabilità, ma ne ho letto le analisi degli editorialisti, ne ho sentito le sintesi di personaggi che hanno l’indirizzo “@governo.it”, gli uni a rivendicare i fini, gli altri, perlopiù, a criticare i mezzi. La legge infatti è un manifesto politico, che sulla base di qualche punto di decimali – come ha sottolineato Luca Ricolfi sul Sole 24 Ore di domenica scorsa – estrapolati dai dati degli ultimi trimestri, si propone di non alienarsi Bruxelles, di infondere fiducia negli italiani e, soprattutto, di conquistare i consensi che permettano a Renzi di fare le cose che, se le fa giuste, confermeranno le tendenze che si intravvedono. L’Imu-Tasi, le pensioni, i contanti, gli incentivi non sono singolarmente né giusti né sbagliati, conta solo l’effetto che farà il concerto dei vari strumenti: la finanziaria è un documento rivolto all’esterno. [continua]

 


 

Fortuna o lungimiranza che sia, Renzi va. Adesso basta con simil-esodati, dica chiaro: “Lavorare, lavorare, lavorare!”

di Renzo Rosati

 

Matteo Renzi ha ragione su molte cose, la più evidente è il tentativo di modificare la genetica della sinistra sulle tasse “bellissime”. Al contrario, il premier cerca di spiegare ai suoi (e agli elettori) che ridurre il carico fiscale non è tanto uno strumento congiunturale per rilanciare i consumi, ma una rivoluzione sociale e politica. Auguri. Su altri fronti è stato lungimirante, o i fatti sono girati a suo favore, è lo stesso. Principalmente sull’Europa, passata dalla stagione dei decimali di austerity a quella della flessibilità: si spera che non sia un’altra formuletta stile Bruxelles ma un progetto di crescita. Quando poi Renzi dice “la politica è cambiare davvero la vita della gente”, dovrebbe anche prendere il solenne impegno di Olof Palme: “Noi non combattiamo la ricchezza, ma la povertà”. E’ sempre una lezione utile da ricordare a una forza socialdemocratica, diviene doverosa in Italia dove lo spirito del lavoro e del guadagno soccombe rispetto al pauperismo redistributivo ammantato da solidarismo cattolico, che però dimentica la parabola dei talenti. [continua]

 


 

Destra e sinistra hanno fatto un po’ il loro tempo anche in politica fiscale. La crescita sia la stella polare delle tasse

di Giovanni Tria

 

La politica fiscale del governo è di destra o di sinistra? Nei manuali americani di macroeconomia degli anni settanta /ottanta si usava distinguere le politiche anticicliche di bilancio cosiddette “progressiste” da quelle “conservatrici” più o meno nel modo seguente. Di fronte a una recessione le prime propugnavano un aumento della spesa in deficit, per poi, superata la recessione, eliminare il deficit con un aumento delle tasse. Una politica conservatrice, al contrario, avrebbe propugnato un taglio delle tasse, per poi eliminare il deficit creato riducendo la spesa. Il risultato della prima politica sarebbe stato un aumento progressivo del peso dello stato, il risultato della seconda una sua riduzione. Si trattava, quindi, di due diverse visioni della società cui si voleva tendere. [continua]

 


 

Giusta direzione della manovra, anche sulle tasse, ma dubbi sulle priorità. Tre ragioni

di Marco Gay

 

Nel 2010 – durante la più grave recessione dagli ultimi cento anni – la legge finanziaria ha cambiato nome: è diventata legge di Stabilità. Oggi che per la prima volta parliamo di ripartenza, non serve cambiare nome, ma sostanza, per farla diventare, finalmente, legge di crescita. Questo governo ci sta riuscendo? [continua]

 


 

Un programma che unisce tasse più moderate e spese crescenti è realizzabile solo indebitandosi ancora di più

di Alberto Mingardi

 

“Happy Days” è andata in onda negli anni Settanta, proprio quando con lo scandalo Watergate, la crisi petrolifera e l’elevata inflazione sembrava che i giorni felici dell’America fossero giusto un ricordo. La serie è ambientata ai tempi di Eisenhower, prima che Kennedy tagliasse l’aliquota marginale dell’imposta sul reddito di venti punti, dal 91 per cento al 70 per cento. Di liberista, non c’era molto. [continua]

 


 

Lo storytelling renziano impone di non scendere troppo nel dettaglio. Siamo ancora alla sindrome armadio Ikea

di Paolo Madron

 

Il discorso (lungo, e scritto) di Matteo Renzi ai gruppi parlamentari del Pd è forse il primo sistematico tentativo di conciliare il suo apparato narrativo con la realtà. Un tentativo che, non a caso, viene dopo che una batteria di indicatori (in primis quello che misura la crescita) segnala un timido accenno di ripresa. “Be happy” dunque, esorta Renzi cui i numeri infondono sicurezza, proprio nel momento in cui i fuoriusciti del Pd gli rimproverano di operare con un approccio da “Happy days”. [continua]

 


 

“Il liberismo è di sinistra”. La convinzione renziana che ne fa un unicum (di successo) in Europa

di Erik Jones

 

Sono quattro gli aspetti principali che emergono dal discorso renziano sulla legge di Stabilità: la sua analisi delle sfide che la crisi impone all’Italia; la sua valutazione sul centro sinistra europeo; la sua difesa del piano di riduzione delle tasse sulla prima casa; la sua presa d’atto del fatto che la distanza tra nord e sud del paese rimane una questione prioritaria. [continua]

 


 

Pieni voti sul Jobs Act. Ma gli osservatori internazionali attendono fatti sulla Giustizia

di Domenico Lombardi

 

Il discorso del presidente del Consiglio, fra i vari temi, elabora su due aspetti rilevanti per la politica economica del Governo Renzi: la politica fiscale e le riforme strutturali. [continua]

 


 

Cosa manca nella 25 misure elencate da Renzi? La parola “concorrenza”. E occhio ai mutui

di Andrea Tavecchio

 

“Se c’è un elemento comune che racchiude tutte le (25) misure di cui ho parlato lo sintetizzerei così: abbiamo bisogno di dare tranquillità al ceto medio di questo paese. Qualche pensatore americano ha scritto ‘la fine del ceto medio’, io non sono d’accordo. Noi abbiamo bisogno che i cittadini si sentano tranquilli. Noi scommettiamo sul ceto medio”. Questa la sintesi che fa il presidente del Consiglio della legge di Stabilità 2016 ai gruppi del Pd. La scommessa di Renzi è chiara: vuole tranquillizzare la classe media che da troppi anni non spende o investe per paura. Classe media, che come noto, in Italia non è tanto giovane anzi è in pensione o quasi, ha (almeno) una casa di proprietà, ha un po’ di risparmi (non in azioni, ma in titoli di stato o obbligazioni bancarie) e un po’ di contanti da parte, a volte troppi… La Stabilità 2016 è una scommessa sulla fiducia e sul consenso, anche politico. Vedremo. [continua]

 


 

Dall’aumento del deficit agli effetti del Jobs Act: la comunicazione prende sempre il sopravvento

di Mario Seminerio

 

Il discorso di Matteo Renzi ai gruppi parlamentari del Pd è una orgogliosa rivendicazione delle cose fatte e di quelle da fare per portare il paese a tornare a quel ruolo di influenza e prestigio che secondo la nostra piccola vulgata nazionalistica dovrebbe competergli in Europa e nel mondo. Renzi è notoriamente molto abile nella comunicazione: si intesta successi che non sono tali e tende a vedere causalità dove c’è solo correlazione. Spesso si focalizza solo sui dati lordi e non sugli assai meno eclatanti dati netti, altre volte presenta previsioni come fossero fatti compiuti, ma solo se favorevoli e funzionali alla sua narrazione. Non è gravissimo: la politica è anche e soprattutto questo. [continua]

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