Mario Draghi (foto LaPresse)

La linfa di Draghi alle banche e l'utilità di lasciare gli utili in cascina

Carlo Milani
Martedì scorso Intesa-SanPaolo ha diffuso i risultati economici dei primi nove mesi di attività del 2015. Superando ogni più rosea aspettativa, l’utile netto consolidato ha sfiorato i 3 miliardi di euro

Martedì scorso Intesa-SanPaolo ha diffuso i risultati economici dei primi nove mesi di attività del 2015. Superando ogni più rosea aspettativa, l’utile netto consolidato ha sfiorato i 3 miliardi di euro. Nonostante questo brillante risultato il titolo ha subito alcuni contraccolpi sui mercati, spaventati soprattutto dal rallentamento del margine d’interesse, ossia la primaria fonte di reddito legata all’erogazione del credito. Solo l’impegno di Carlo Messina, ceo di Intesa, di incrementare la distribuzione degli utili prevista a inizio anno ha riportato un po’ di calma.

 

Questi semplici fatti ci spingono ad alcune riflessioni sulle capacità delle banche di produrre reddito nell’attuale fase, tema affrontato recentemente su queste colonne. La grande iniezione di liquidità voluta dalla Banca centrale europea per far fronte ai rischi di deflazione ha infatti compresso i tassi d’interesse lungo tutta la curva per scadenze. Ciò ha ridato fiato a molte famiglie che hanno potuto surrogare il loro mutuo, riducendone la rata mensile e lasciando spazio al consumo di altri beni e servizi. Per le banche, nonostante la possibilità di finanziarsi a tassi praticamente nulli, l’effetto finale è la riduzione dei margini di guadagno su ogni singola operazione. L’unico modo per evitare un crollo del margine d’interesse è aumentare i volumi, cosa che però risulta agevole solo per le banche di grandi dimensioni. Il peso ancora importante delle sofferenze, e l’infinito protrarsi del dossier sulla bad bank, limitano invece le capacità di espandere il credito alle piccole e medie imprese.

 

Come anche evidenziato dall’ultimo Bollettino economico della Bce, i paesi che vedono le attività bancarie espandersi sono quelli meno vulnerabili, quali Germania, Francia e le restanti nazioni dell’Europa Centrale. Per i paesi periferici, tra i quali l’Italia, le debolezze del mercato bancario, anche in termini di capitalizzazione, non permettono al momento di espandere il credito.

 

Se l’attività bancaria tradizionale non si trova quindi in buone acque, e probabilmente non lo sarà nei prossimi anni, le banche possono trarre fonti alternative di reddito da altri servizi. L’intonazione complessivamente positiva dei mercati azionari, a cui però si associa una maggiore volatilità anche per effetto dell’eccesso di liquidità in circolazione, spingono le famiglie ad affidarsi sempre più spesso a consulenti e professionisti nella gestione del risparmio per decidere come allocare i capitali. Ciò implica una crescita delle commissioni legate all’asset management e al private banking, ma anche alle forme assicurative pensionistiche e non. C’è poi un altro potenziale canale che può spingere la redditività bancaria, ovvero le plusvalenze sui titoli di stato presenti nei portafogli bancari. La riduzione dei rendimenti sui bond governativi determina, infatti, l’apprezzamento dei titoli acquistati negli anni passati a tassi ben più elevati di quelli correnti.

 

Combinando gli effetti negativi e quelli positivi delle manovre di allentamento monetario, e sulla base di un’indagine condotta dalla Bce presso le principali banche europee, il risultato finale dovrebbe essere quello di un miglioramento complessivo della redditività bancaria e, attraverso gli utili non distribuiti, di una lieve crescita dei coefficienti patrimoniali. In definitiva, la redditività che le banche riescono a produrre in questo contesto è per buona parte legata alle condizioni eccezionalmente espansive decise dalla Bce. Per una sana e prudente gestione bancaria gli utili generati dovrebbero essere per lo più trattenuti dalle banche per rafforzare la loro dotazione patrimoniale, anche in prospettiva dell’entrata in vigore del bail-in che determinerà la partecipazione dei creditori della banca al risanamento delle potenziali perdite d’esercizio. Anche gli azionisti con un profilo d’investimento a medio-lungo termine, e non troppo dipendenti dal flusso di dividendi, probabilmente apprezzerebbero una simile decisione.
*Economista del Centro Europa Ricerche (CER)

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