Nella foto Xavier Niel

Così i corsari francesi frustrano le mire stataliste su Telecom

Alberto Brambilla
L’arrembaggio di Bolloré e Niel riduce le chance di un intervento della Cdp nelle Tlc. Italia teatro dell’euro-risiko

Roma. Mentre il governo covava per mesi l’intenzione di comprare una quota rilevante di Telecom Italia attraverso la corazzata di stato Cassa depositi e prestiti, due prominenti imprenditori francesi, Vincent Bolloré e Xavier Niel, costruivano posizioni consistenti nell’azionariato della prima società di telecomunicazioni italiana al punto da azzerare qualsiasi velleità di intervento pubblico o comunque renderlo ipoteticamente più oneroso di prima.

 

Telecom ha ricevuto crescenti attenzioni da parte di Vivendi, controllata da Bolloré, che ha comprato il 20 per cento delle quote e dal fondatore di Iliad, cioè Niel, che ha annunciato in questi giorni di possedere il 15,1 per cento della società tra opzioni e titoli a termine. La semplice convinzione che il prezzo del titolo Telecom fosse sottostimato dal mercato può avere funzionato da stimolo sia per Bolloré, carico di liquidità, sia per Niel, avvezzo a operazioni a debito. Ma è tema d’indagine di Consob, l’autorità che vigila sulla Borsa, capire se abbiano agito in concerto, in caso avrebbero l’obbligo di lanciare un’Offerta pubblica d’acquisto. Anche l’Antitrust ha chiesto chiarimenti e documenti societari a Telecom. Fonti vicine a Tarak Ben Ammar, amico di Bolloré, membro del cda di Telecom e di Mediobanca, l’unico socio italiano rimasto dopo lo scioglimento del patto di sindacato chiamato Telco, escludono una combine ricordando che di recente l’imprenditore bretone ha ricevuto qualche puntura dal Monde, quotidiano di cui Niel è editore insieme al finanziere Matthieu Pigasse. E’ possibile comunque arrivare a esercitare un controllo sulla società senza avere una chiara quota di maggioranza, come d’altronde per anni ha fatto Telco, e motivare potenziali cambiamenti nel board all’assemblea annuale di primavera.

 

[**Video_box_2**]Bolloré e Niel sono comunque attori pesanti di Telecom con i quali il governo dovrà confrontarsi per portare avanti il piano di creazione di un’infrastruttura capillare di internet veloce in fibra ottica entro il 2020, stando alle direttive europee. La penetrazione della banda larga in Italia è molto bassa rispetto agli altri paesi europei e il suo sviluppo dal 2013 al 2015 è andato a rilento e solo nei primi nove mesi di quest’anno ha visto un avanzamento. Nel tentativo di spingere Telecom a investire nel piano, il governo ha perseguito una strategia cangiante e opaca che celava la minaccia di usare la Cassa depositi e prestiti, una banca di stato, per acquisire una quota dell’ex monopolista pubblico della telefonia. Inizialmente il governo avrebbe voluto usare come testa di ponte la piccola Metroweb, di proprietà dei veicoli di Cdp (Fondo strategico italiano e F2i). Dopodiché, tramontata l’ipotesi, l’esecutivo ha cercato di riunire al tavolo diversi operatori alcuni dei quali, come Vodafone, disponibili a collaborare, altri meno, come appunto Telecom. Nel frattempo su indicazione di Andrea Guerra, ex consigliere del premier Matteo Renzi ora tornato a fare il manager privato da presidente esecutivo della catena di mall del cibo Eataly, è sembrata farsi largo l’intenzione di aggredire Telecom via Cdp. Un’ipotesi probabilmente sgradita a Franco Bassanini, ex presidente di Cdp, sostituito a giugno, prima della scadenza del mandato, con Claudio Costamagna affiancato dall’ad Fabio Gallia. Intanto l’esecutivo ha usato Enel come pungolo verso Telecom ipotizzando che il gestore della rete elettrica potesse sfruttare l’infrastruttura della bassa tensione per posare i cavi della fibra ottica. Ipotesi lontana dall’essere realizzata: “Quando avremo qualcosa di serio, lo faremo sapere”, ha detto ieri l’ad di Enel Francesco Starace.

 

Se la Cdp è servita come camera di compensazione per società pubbliche – è il caso di Ansaldo Energia poi passata ai cinesi di Shanghai Electric o più di recente di Saipem scorporata da Eni – con l’arrivo dei finanzieri francesi muovere un passo nelle Tlc è complicato. Bolloré e Niel, secondo molti osservatori, hanno interessi non coincidenti ma forti. Bolloré è ingolosito dalla banda larga come autostrada per i contenuti televisivi. Niel potrebbe pensare di concentrare i suoi asset in Francia (Iliad), Svizzera (Matterhorn Mobile, ex Orange Swiss) e Italia (Telecom). Il risiko francese su suolo italiano è aperto.
 

 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.