Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Chi sono e cosa vogliono i fondi sovrani orbitanti sull'Italia

Elena Bonanni
Radiografia dei ricchi investitori governativi riuniti per la prima volta a Milano. Padoan a braccia aperte

Milano. “L’Italia è il quinto paese manifatturiero al mondo e il secondo in Europa. Siamo aperti agli investimenti e siamo impegnati ad aiutare in particolare gli investimenti a lungo termine. Stiamo facendo riforme che daranno benefici alle aziende, ci sono nuove prospettive di crescita, stiamo modernizzando la struttura finanziaria delle società”. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha accolto così i sovrani mondiali riuniti per la prima volta in Italia, a Milano, in occasione del loro settimo meeting annuale (Ifswf, International Forum of Sovereign Wealth Funds). Nello storico hotel Principe di Savoia, sotto la regia della Cassa depositi e prestiti, che controlla il Fondo strategico italiano (Fsi), sono riuniti i leader di 32 fondi sovrani di 29 differenti paesi che insieme detengono oltre 4.000 miliardi di dollari; oltre il doppio del pil italiano in termini reali. Ricchezze che arrivano dagli utili del petrolio e delle altre materie prime, o dall’esubero di riserve di valuta estera. E che già da tempo hanno preso anche la via dell’Italia. Adia, fondo di Abu Dhabi, e Gingko Tree, secondo fondo sovrano cinese, sarebbero per esempio sempre più vicini a rilevare il 30 per cento complessivo degli Aeroporti di Roma (Adr), società del gruppo Atlantia che gestisce gli scali di Roma Fiumicino e di Ciampino. E, secondo indiscrezioni, i capitali cinesi si preparano a entrare anche in Poste Italiane in occasione dell’ormai prossima offerta pubblica per lo sbarco in Borsa; una prima assoluta in questo caso per una privatizzazione italiana. Il piano di privatizzazione, secondo Reuters, sarebbe stato presentato ieri dal ministro Padoan durante un meeting con cinque fondi sovrani. Interpellato a margine del Forum, Li Keping, capo degli investimenti del cinese Cic, China Investment Corporation, il primo fondo sovrano cinese e secondo mondiale per dimensioni dopo quello norvegese e sicuramente uno dei più monitorati dal mercato, non si è sbottonato su un eventuale interesse per l’azienda guidata da Francesco Caio.

 

“Abbiamo investito in F2i, stiamo cercando altre opportunità”, ha però detto Keping, un passato nel maggiore fondo pensione cinese e una laurea in Economia alla Perking University. A manovrare dall’alto i 652 miliardi di dollari di masse in gestione del Cic, è però Ding Xuedong, nato nella provincia di Jiangsu, 43esima persona più influente al mondo nel 2014 per Forbes, approdato nel 2013 a capo del Cic dopo un vuoto di leadership durato tre mesi che, riportava Reuters, “ha fatto sorgere speculazioni circa la lotta di potere tra i top leader del Partito comunista che nomina i funzionari e ha evidenziato i modi opachi con cui in Cina vengono scelti i leader”. Espressione del potere locale, una carriera negli organi governativi cinesi, tra cui viceministro per le Finanze tra il 2008 e il 2010, nel 2014 Ding è diventato anche il boss della China International Capital Corporation, una delle banche di investimento più importanti del paese (che si rifà sempre alla galassia del Cic). “C’è molta voglia di investire da parte dei fondi sovrani, le riforme implementate hanno portato sicuramente quel tipo di precondizione che ricercano”, ha detto al termine della seconda giornata del Forum Maurizio Tamagnini, ad di Fsi, ricordando che “abbiamo tantissimo da offrire in termini di opportunità a questi fondi che sono investitori di lungo periodo e accompagnatori della crescita perché non richiedono particolare governance di controllo”.

 

[**Video_box_2**]E oggi all’Expo, nell’ambito dell’Ifswf, si terrà un’inedita sessione di networking tra le aziende e i fondi sovrani. Tra i fondi più attivi in Italia – in passato ha investito in Unicredit – c’è anche Adia, Abu Dhabi Investment Authority, che gestisce 773 miliardi di dollari. Al massimo livello di comando c’è direttamente Sua altezza Khalifa bin Zayed al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti, emiro di Abu Dhabi, 37esima persona più potente del mondo per Forbes, con un fratello presidente della squadra di calcio Manchester City. Controlla 97,8 miliardi di barili di petrolio di riserve certe ed è il sovrano di una delle più ricche monarchie del mondo. Coltiva la fama di filantropo, grazie a oltre 460 milioni di dollari della sua fortuna personale spesi in progetti umanitari. Il sultano è stato anche fondatore nel 2003 – tramite decreto reale – della compagnia aerea Etihad, giunta l’anno scorso in soccorso di Alitalia. Un cda, quello di Adia, tutto in famiglia (reale): nel board figurano diversi esponenti della famiglia Al Nahyan, con il ruolo di managing director affidato a Sheikh Hamed bin Zayed al Nahyan. Un altro sceicco, Sheikh Abdullah bin Hamad bin Khalifa al Thani, decide invece i destini del Qia, Qatar Investment Authority, e dei suoi 256 miliardi di dollari. Più giù nella classifica dei ricconi, è nono, ma sicuramente è uno dei più popolari e conosciuti in Italia visti gli investimenti in Costa Smeralda e la conquista del quartiere Porta Nuova a Milano. Alla guida operativa c’è un altro membro della famiglia reale, Sheikh Abdullah bin Mohammed al Thani, in precedenza al comando della società di Tlc del Golfo Ooredoo. Tra i fondi sovrani con cui Fsi ha sottoscritto accordi c’è infine Kia, Kuwait Investment Authority (gli altri sono Qatar, Cic, Korea Investment Corporation e il russo Rdif). Meno glamour per le cronache ma il quarto in assoluto più ricco con 548 miliardi di dollari e anche il più antico al mondo (risale al 1953). Lo presiede Anas Khaled al Saleh, vice primo ministro e ministro delle Finanze, una laurea in finanza alla Portland State University (Oregon). Al summit milanese partecipa Bader Mohammad al Sa’ad, alla guida operativa del fondo è tra i 100 arabi più influenti al mondo. Prima dell’incarico in Kia, al Sa’ad era al timone di Markaz, la più grande società di asset management e investment banking kuwaitiana.

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