Chiesa, sindacati e politica debole. La strana alleanza contro la bottega aperta

Luciano Capone

Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, spiega i danni che il Parlamento rischia di fare se torna indietro sulla liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali.

La controriforma della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali procede spedita in Parlamento. Attualmente, dopo la liberalizzazione (una delle poche) approvata dal governo Monti con il decreto “Salva Italia”, i negozi possono aprire e chiudere quando vogliono, possono tenere alzate le saracinesche anche 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, sono gli esercenti in base all’affluenza dei clienti a valutare quando è più conveniente aprire. Una libertà intollerabile che il Parlamento è pronto a limitare con il ddl 1629, ora in discussione alla commissione Industria del Senato e già approvato in prima lettura alla Camera, presentato dal M5s a cui si sono poi uniti il Partito democratico e Forza Italia. La nuova legge prevede l’obbligo di chiusura in 12 giornate festive civili e religiose (Capodanno, Epifania, 25 aprile, Pasqua, Pasquetta, 1 maggio, 2 giugno, Ferragosto, Ognissanti, Immacolata, Natale e Santo Stefano), in pratica le più importanti per negozianti e consumatori (secondo uno studio di Confimprese la metà di queste giornate festive valgono circa il 4 per cento del fatturato annuo). Secondo la nuova norma però sono possibili delle deroghe, cioè i negozi possono restare aprire per un massimo di sei giorni tra quelli indicati, previa comunicazione al comune.

 

Per Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, si tratta di una marcia indietro rispetto a “una delle poche cose buone fatte dal governo Monti, un provvedimento che in questi anni ha favorito la concorrenza a vantaggio dei consumatori, permettendo a ogni imprenditore di decidere come e quando aprire i suoi negozi in funzione della propria clientela”. Secondo i dati delle indagini di mercato fatte tra i propri associati, Federdistribuzione rileva che circa l’80 per cento dei consumatori gradisce di poter fare shopping nei giorni festivi, specialmente per gli acquisti che riguardano la famiglia; per quanto riguarda la spesa, la domenica è diventato il giorno più importante della settimana dopo il sabato.

 

“La liberalizzazione è stata difesa dalla Corte costituzionale, dall’Antitrust, dal Tar ed era all’interno di un’ottica europea che punta ad aumentare la concorrenza – dice Cobolli Gigli al Foglio – In Europa 13 paesi hanno compiuto una completa liberalizzazione e altri, persino la Francia, vanno verso una graduale liberalizzazione per le aree più importanti”. La norma che si appresta a essere approvata presenta inoltre diversi profili illogici e discriminatori, ad esempio colpisce alcuni settori merceologici come l’abbigliamento, le profumerie e gli articoli per la casa, addirittura all'ingrosso, ma ne esclude altri come arredo, libri, bar e ristoranti che non hanno vincoli. E ovviamente i negozi online che invece vendono di tutto, anche ciò che offrono i negozi obbligati a chiudere: “È un provvedimento sbagliato che arriva proprio nel momento in cui grandi società dell’e-commerce come Amazon stanno entrando nel mercato dei prodotti alimentari – dice Cobolli – Diventeranno sempre più dei nostri concorrenti, che noi accettiamo, ma in questo modo veniamo discriminati e si inducono i cittadini a scegliere l’e-commerce quando si trovano i negozi chiusi”.

 

Ma se la norma è così incoerente, discriminatoria e non gradita ai consumatori, com’è possibile che venga approvata a così larga maggioranza? “In Italia è sempre difficile cambiare le cose, c’è una mancanza di visione, le corporazioni come Confcommercio, Confesercenti e sindacati si impegnano a difendere il passato, mentre tutta l’Europa va nella direzione opposta proprio ora che bisogna stimolare i consumi. E poi c’è una politica molto influenzabile, spesso abituata a rimangiarsi la parola e le cose fatte”.

 

[**Video_box_2**]Insieme ai sindacati anche la Chiesa ha appoggiato questo provvedimento che permette di santificare le feste e passare più tempo in famiglia. “Ho molto rispetto per il Papa – dice Cobolli – ma certe considerazioni vanno ponderate con la situazione sociale ed economica. Aprire la domenica ci ha permesso in periodi di crisi di mantenere livelli occupazionali e creare nuova occupazione di giovani nel fine settimana per supportare il servizio al cliente. Con le aperture domenicali abbiamo assunto 4.200 giovani e distribuito 400 milioni di salari in più ai dipendenti che nei festivi percepiscono la maggiorazione del 30 per cento, che di questi periodi fa molto comodo ai lavoratori. Sembrerà paradossale ma noi schierati contro questa legge difendiamo l’occupazione, i sindacati no”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali