Simon Potter

L'incantesimo di Potter

Chi è il mago della Fed che toglie le castagne dal fuoco a Janet Yellen

Ugo Bertone
Come Simon Potter drena l’enorme liquidità iniettata dalla Fed e prepara la prima stretta monetaria dal 2006

Milano. Ogni giorno feriale, alle 12 e 45 ora di New York, un piccolo stacco musicale segnala che sta per aprire la bottega di “mago” Potter. No, non si tratta del celebre Harry, ma della stanza dei segreti di Simon Potter, responsabile della divisione mercati della Federal Reserve, l’uomo cui è arrivata una missione difficile quanto più importante: vigilare perché, quando la Banca centrale deciderà di aumentare i tassi (forse giovedì, quasi certamente entro l’anno) tutto fili liscio, senza che si scateni la tempesta sui mercati. Non è facile perché stavolta, a differenza del passato, non sarà sufficiente mettere la briglia alle banche, ma occorrerà tenere sotto controllo una platea sterminata di nuovi attori di Wall Street e non solo. E così, racconta il New York Times, ogni giorno a cavallo dell’una mastro Potter per mezz’ora assorbe quattrini in arrivo da hedge fund, Agenzie federali come Fannie Mae o altri che non appartengono al mondo del credito: 168 player che possono offrire fino a 30 miliardi di dollari ciascuno alla Banca centrale dietro interesse. Potter, dall’altra parte del bancone, può accettare fino a 300 miliardi di dollari che i gestori preferiscono consegnare alla Fed piuttosto che investire in un mercato sempre più difficile. Nel gergo tecnico si tratta di un “reverse repurchase”, o repo, ma l’innovazione ha un significato tutt’altro che tecnico: è la prima volta che la Fed s’imbarca in un programma così impegnativo oltre i confini del sistema bancario e si occupa delle “banche ombra”. “Janet Yellen è obbligata a farlo – dice Jon Faust, consigliere del presidente – il mondo sta cambiando rapidamente. Sarebbe pericoloso restare indietro”. Ma non per questo la politica verso le banche sarà meno aggressiva. Così come, una volta aumentati i tassi, il team di Janet Yellen (estimatrice di Potter), aumenterà la remunerazione dei soldi versati dalle banche nei forzieri delle Banche centrali. L’obiettivo? Drenare una parte della gigantesca marea di liquidità con cui la Fed ha innaffiato i mercati in chiave anti-recessiva. Paradosso della storia, la Fed si accinge a pagare per ritirare dall’economia, prima che scoppi l’inflazione, la liquidità che ha distribuito a piene mani.

 

In pratica con un rialzo dei tassi, mentre si drena liquidità, si pagheranno le banche perché non facciano il loro mestiere, ovvero prestare quattrini. In cifre, prima sono stati prestati oltre 500 miliardi di dollari, ora li si vuol ritirare pagando l’1 per cento perché le banche spostino i liquidi presso la Fed, per un costo di almeno 25 miliardi di dollari. Inevitabile che la manovra possa provocare un frenata della crescita, anche se ben pochi dei quattrini in circolazione stanno finanziando l’economia reale. Ma l’operazione, a fronte ella crisi che sta investendo l’economia di alcuni mercati cosiddetti emergenti, dal Brasile alla Turchia, sembra una follia. E molti lo pensano, a giudicare dagli appelli del Fmi, della Banca mondiale contro l’aumento. Secondo un sondaggio di Royal Bank of Scotland, due terzi dei 150 operatori interpellati sono convinti che le Banche centrali stanno perdendo potere o non sanno più che pesci pigliare.

 

[**Video_box_2**]La missione di Potter, 53 anni, 14 di esperienza alla Fed, un passato alla California University, è di dimostrare che, al contrario, la Banca centrale americana è in grado di gestire il primo rialzo dopo nove anni di tassi sempre più vicini allo zero. Per far questo occorre drenare liquidità anche con mezzi nuovi: non basta fare pagare di più il denaro a banche dai forzieri ricolmi che di soldi ne hanno fin troppi. L’aumento dei tassi – da solo – non basta perché, date le cifre in gioco, l’impresa di drenare liquidità è quasi disperata, soprattutto se non si avrà la collaborazione del grande creditore del Tesoro, la Cina. Nel 2004, in occasione dell’ultimo aumento dei tassi, Alan Greenspan scoprì che l’effetto dell’aumento era stato fortemente limitato dal comportamento degli operatori, che avevano riversato i capitali nei prestiti al mercato immobiliare (primo tassello della bolla). Che potrebbe accadere se la Cina, per rappresaglia di fronte a un calo di valore dei suoi bond, decidesse di vendere una parte delle sue riserve? E’ importante che la bacchetta di mister Potter, che dal 2013 conduce i suoi esperimenti sui soldi degli hedge e dei fondi monetari, tipo quelli di BlackRock (interlocutore privilegiato della Banca centrale cinese) produca il risultato di congelare il denaro uscito in questi anni dalle stamperie elettroniche della Fed. Non è un’alchimia facile. Ma il maghetto della Fed ci proverà.