Kalanick davanti a una mappa della Cina (foto laPresse)

Perché Uber rischia di perdere la guerra di Cina

Eugenio Cau
L'avventura della compagnia di auto-con-app ha trovato a Pechino un concorrente che non solo era ben attrezzato per lo scontro, ma già conosceva le tattiche aggressive di Kalanick

La storia di Uber è una storia di battaglie. Contro la lobby dei tassisti, contro la concorrenza, contro i legislatori di ogni singolo angolo d’occidente, contro i media ostili. Per cultura societaria e carattere del suo fondatore, Travis Kalanick, Uber non disdegna lo scontro, sembra quasi che lo incoraggi, e questo ha contribuito a dare alla compagnia di auto-con-app la fama del disruptor per eccellenza. In ogni angolo di mondo in cui si è espansa, Uber ha dovuto lottare per sopravvivere e conquistare il mercato. Ma nessuna battaglia finora è mai stata tanto dura quanto quella per la Cina. A Pechino Uber ha trovato un concorrente tosto, Didi Kuaidi, frutto della fusione tra due compagnie preesistenti e spalleggiato oltre che da due giganti di internet come Alibaba e Tencent, anche dal governo cinese, che ha investito nella compagnia attraverso il suo fondo sovrano. Al contrario di quanto avvenuto in gran parte dell’occidente, dove Uber si è trovato contro più provvedimenti giudiziari che concorrenza, e spesso è riuscito a importi come l’unico dominatore del mercato, in Cina la compagnia ha trovato un concorrente che non solo era ben attrezzato per lo scontro, ma già conosceva le tattiche aggressive di Kalanick.

 

Così, da quando è iniziata l’espansione di Uber Cina, Didi Kuaidi ha sempre risposto rilanciando: la scorsa settimana Uber ha annunciato che si espanderà in 100 nuove città cinesi entro il prossimo anno (per ora sono 16; Didi è presente in 80), ma nel frattempo Didi pubblica alcuni dati secondo cui nell’ultimo anno (agosto 2014-maggio 2015) il numero di prenotazioni di sue vetture in Cina è cresciuto del 15 per cento: non in totale, ma a settimana. Questo mese la filiale cinese di Uber ha annunciato un round di raccolta record di finanziamenti in Cina, 1,2 miliardi di dollari, ma pochi giorni dopo Didi ha annunciato di averne raccolti tre, di miliardi. Uber, racconta il Financial Times, si prepara a scialacquare almeno un miliardo di dollari nel prossimo anno per attirare nuovi clienti e nuovi driver con benefit, incentivi, sconti. E’ la strategia classica del “bruciare denaro” a costo di andare in perdita per mettere fuori gioco la concorrenza. Ma Didi risponde e si prepara a combattere la guerra dei prezzi spendendo cifre simili. La compagnia è abituata a battaglie simili: le due aziende originarie che a febbraio si sono unite per creare Didi Kuaidi, Didi Dache e Kuaidi Dache, prima della fusione avevano “bruciato denaro” con tale efficienza che a un certo punto le corse sui loro taxi erano diventate quasi gratuite.

 

Ieri Didi ha messo in atto un’altra mossa del suo manuale di guerra. Secondo il Wall Street Journal, che per primo ha dato la notizia, la compagnia cinese sta investendo una somma non specificata nel principale concorrente di Uber in America, Lyft. L’investimento in realtà è triplo, perché oltre a Didi Kuaidi stanno pompando fondi in Lyft anche Alibaba e Tencent, i due principali finanziatori di Didi, e questo dà l’idea dell’ampiezza della strategia: colpire Uber nel cuore del suo impero rafforzando i suoi nemici interni. E’ una manovra diversiva notevole, a cui Uber non può controbattere perché Didi è un operatore presente per ora solo sul mercato cinese.

 

[**Video_box_2**]Nella battaglia per la Cina Uber vede le sue tecniche aggressive di “disruption” replicate alla perfezione, e a volte perfino con più cattiveria, dal concorrente locale. Kalanick ha investito risorse enormi in Cina: “Non esiste un altro paese con oltre 80 città da più di cinque milioni di abitanti”, ha detto di recente. “Un’opportunità così grande non esiste in nessun altro mercato”. Non lascerà la presa facilmente, il premio è troppo grande, ma nella spedizione di Cina Uber rischia di rimanere bruciato.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.