Storia della insensata reazione del governo al collasso delle regioni

Nicola Rossi
I bilanci incostituzionali delle regioni (non solo Piemonte) e il clamoroso ritorno alla logica del deficit spending

Come la Grecia. Anzi peggio. La regione Piemonte – e con lei, pare, un po’ tutte le altre regioni con l’eccezione della Lombardia e della Basilicata – fra il 2013 ed il 2014 ha barato. Ha violato le regole più elementari, utilizzando fondi destinati al rimborso dei debiti della pubblica amministrazione per il finanziamento di nuove spese correnti o, peggio, per gonfiare le proprie capacità di spesa (trattando quei trasferimenti con vincolo di destinazione alla stregua di mutui). Lo ha definitivamente certificato, con una propria sentenza, la Corte costituzionale dichiarando, appunto, incostituzionale il bilancio di assestamento della Regione Piemonte per l’esercizio 2013. Per i contribuenti i giochi di prestigio contabili delle Regioni potrebbero implicare nuovi oneri per un importo compreso fra i 10 ed il 20 miliardi di euro.

 

Appresa la notizia, il Governo ha dato mandato alla Avvocatura dello Stato di valutare le azioni da intraprendere per sanzionare i comportamenti oggetto della pronuncia della Corte e tutelare i contribuenti? No. Ha, per ipotesi, avviato lo studio di norme intese a prevenire i comportamenti suddetti e a dare allo Stato opportune possibilità di intervento? Nemmeno. Ha, forse, segnalato alle Regioni coinvolte che, nei limiti in cui – come pare - quei fondi siano stati destinati al finanziamento di spese programmate ma non ancora effettivamente realizzate, quelle stesse spese dovranno intendersi come mai pianificate? Neanche. Ha, per caso, comunicato ai presidenti delle stesse Regioni che ogni eventuale intervento di ripiano dei disavanzi conseguenti a quei comportamenti non potrà non prevedere il trasferimento ex lege allo Stato del patrimonio regionale (mobiliare ed immobiliare) per pari importo e l’avvio della procedura di dismissione dello stesso? Figurarsi! Nulla di tutto questo.

 

Al contrario, il Governo ha messo al lavoro le sue migliori intelligenze per cogliere l’occasione e azzerare in un colpo solo i divieti ed i vincoli contabili per le Regioni conseguenti all’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012. A quei vincoli – per chi non lo ricordasse - non si era giunti per caso, ma perché si era constatata la natura spesso incontrollabile della spesa regionale. E quindi, si era stabilito che il bilancio delle Regioni, a partire dalla redazione del rendiconto per il 2015, fosse sottoposto – in applicazione della riforma costituzionale del 2012 – ad un insieme di vincoli operanti sia in termini previsivi che consuntivi, sia in termini di competenza che di cassa e – per non lasciare margini alla fantasia - sia in termini complessivi che con riferimento alle sole grandezze “correnti” (al netto cioè delle voci in conto capitale). Si era stabilito che fosse possibile ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento (secondo il precetto costituzionale) ma comunque nel rispetto dell’equilibrio complessivo del bilancio regionale. Infine, si era immaginato che la violazione dei vincoli intesi a garantire l’equilibrio di bilancio non rimanesse senza conseguenze: essa sarebbe stata pesantemente sanzionata a carico dei bilanci regionali, ovvero introducendo vincoli ulteriori alla spesa (e in particolare alla spesa per il personale) e all’indebitamento, nonché riducendo significativamente l’indennità di funzione e i gettoni di presenza della Giunta regionale. Per le Regioni un esito straordinariamente favorevole ed assolutamente insperato: un po’ come se di fronte ad un caso conclamato di falso in bilancio, la politica si precipitasse a scrivere norme ancora più lasche. Ed il riferimento è tutt’altro che casuale (l’unica differenza essendo la natura pubblica e non privata del falso in questione).

 

Di tutto il complesso di vincoli previsto dalla legge 243 potrebbe, nel giro di qualche settimana, non rimanere nulla o quasi e potremmo ritornare presto ad avere un controllo assai più problematico delle tendenze della spesa pubblica, in un momento in cui il livello del nostro debito pubblico imporrebbe il massimo del controllo sui flussi. Su tutti i flussi e non solo sui saldi. Questo punto richiederebbe, da parte del governo, una riflessione più approfondita. Limitarsi a riportare a livello degli enti locali i vincoli oggi imposti dall’Unione europea a livello nazionale significa dimenticare che all’ombra di quei vincoli tanto la spesa pubblica, quanto la pressione fiscale ed il debito sono cresciuti nell’ultimo ventennio senza freni o quasi. Accettare che ciò possa accadere a livello sub-nazionale – nelle precarie condizioni in cui sono oggi i rapporti finanziari fra centro e periferia - è oggi, per il paese, un atto francamente irresponsabile. Lo è ancor di più se dettato, come sembra, dalla speranza di raccattare qualche decimo di crescita in più grazie ad un po’ di deficit spending. Farlo nel momento in cui ci si appresta a chiedere all’Unione europea un po’ di flessibilità in più perché si stanno facendo le riforme, mentre invece - ironia della sorte - le si stanno evidentemente smontando, è piuttosto sfrontato e francamente temerario.

 

[**Video_box_2**]Ma non di solo rigore nella gestione della finanza pubblica si tratta. Quello che il Governo ci comunica – rendendo inoffensiva la legge 243 – è che il suo spirito riformatore si è esaurito. Arrivato alle soglie delle riforme che contano – quelle che riguardano la quantità e la qualità della presenza dello Stato nell’economia, quelle che riguardano i veri costi della politica (e cioè quelli connessi ad un uso indebito delle risorse pubbliche), quelle che riguardano i rapporti fra l’amministrazione pubblica ed il cittadino – il Governo si è fermato. Anzi, si è girato su se stesso ed è tornato indietro.  Avrebbe potuto, al contrario, osservare quel che noi tutti osserviamo: se una minimale disciplina della finanza regionale è possibile per la grande Lombardia e per la piccola Basilicata (che apparentemente non godono di un livello di servizi drasticamente inferiore a quello di altre regioni) perché mai non dovrebbe essere possibile per il Piemonte e per la Puglia, per la Campania o per il Lazio? Salvando oggi le regioni truffaldine, come si potrà domani anche solo evocare il concetto di “merito” nella Pubblica amministrazione?

 

Trattandosi di una norma di rango costituzionale, la modifica della legge 243 dovrà essere approvata dalla maggioranza assoluta dei membri della Camera e del Senato.  Chi volesse capire se l’anelito moralizzatore del Movimento Cinquestelle è autentico o se una vaga impronta liberale esiste ancora nel centrodestra italiano potrebbe non dover aspettare più di tanto. Per quanto riguarda il centrosinistra, la sola proposta di modifica della legge 243 è più che sufficiente: cambiare questo paese esattamente lì dove avrebbe più disperatamente necessità di essere cambiato non è un tema all’ordine del giorno.

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