Fausto Bertinotti (foto LaPresse)

Chavisti di tutto il mondo, unitevi! E fate sincera ammenda

Luciano Capone
Cosa non dicono Bertinotti&Co., cantori del “modello Venezuela”, ora che scarseggiano beni essenziali e il paese è collassato

Milano. Pochi giorni fa nella cittadina di San Felix la voce dell’arrivo di farina, riso e caffè ha causato l’assalto della popolazione a un supermercato, finito con un morto e 30 feriti. Non è un episodio isolato. Dall’inizio dell’anno in Venezuela ci sono stati 56 saccheggi di supermercati, 76 tentati assalti e oltre 500 manifestazioni di piazza a causa della cronica scarsità di prodotti essenziali: dal cibo alla carta igienica, dai pannolini ai medicinali, dal latte ai preservativi, dai pezzi di ricambio per auto e moto fino a bare, smartphone e protesi per la chirurgia plastica. Almeno in questo senso il “Socialismo del siglo XXI”, come l’aveva battezzato il sociologo marxista Heinz Dieterich, ha matenuto la sua promessa egualitaria: non c’è niente per nessuno.

 

Il governo di Nicolas Maduro, delfino di Hugo Chávez, tenta di rispondere con la repressione, il controllo di cambi e capitali, il controllo dei prezzi e la nazionalizzazione delle aziende, stampando soldi. Medicine che aggravano la malattia. E’ in queste condizioni che il paese s’avvicina alle elezioni politiche del 6 dicembre, esattamente 17 anni dopo le presidenziali del 6 dicembre 1998 che sancirono la salita al potere di Chávez e l’inizio della Revolución Bolivariana, un modello da seguire e una concreta alternativa al “paradigma neoliberista dominante” per la sinistra mondiale. Nichi Vendola, leader di Sel, dichiarava la sua “profonda simpatia per la “rivoluzione bolivariana”, un’esperienza che ha fatto invecchiare la stella di Cuba, perché Chávez “riesce dove Fidel ha fallito”. Anche Fausto Bertinotti, enfatizzava il lavoro di un governo “che cerca di vincere le disuguaglianze sociali”. Certo, l’ex presidente della Camera riconosceva che c’era qualche limite in quel modello, “ma chi di noi in Europa, dove la democrazia è sospesa da anni, è autorizzato a dare lezioni a Chávez?”, diceva. Per Gennaro Migliore, ex Rifondazione comunista e oggi elemento di spicco del Pd renziano, in Venezuela era in atto una “straordinaria rivoluzione non violenta, fatta di democrazia partecipativa e grandi passioni civili”. Non era solo la politica a perorare la causa bolivariana, ma tutto il ceto intellettual-culturale della sinistra: il filosofo comunista-dipietrista Gianni Vattimo contrapponeva la vera democrazia di Cuba e Venezuela alle false democrazie occidentali, Toni Negri era un altro cantore di quel “processo rivoluzionario, che dà il potere al popolo”, Dario Fo e Franca Rame, alla destra del caudillo, agitavano il pugno chiuso sulla balconata della Camera del lavoro di Milano quando Chávez su invito della Cgil venne a indicare la via del socialismo. E poi don Gallo, Gianni Minà, padre Zanotelli. La stella del Venezuela chavista ha brillato in tutto il mondo ed è stata un punto di riferimento economico e intellettuale per le nuove sinistre europee e i loro giovani leader, Podemos e Pablo Iglesias in Spagna, Syriza e Alexis Tsipras in Grecia.

 

[**Video_box_2**]Il Venezuela aveva fan anche negli Stati Uniti: attivisti no-global come Naomi Klein (ora apprezzata anche in Vaticano), il regista Michael Moore e premi Oscar come Sean Penn e Oliver Stone. C’era anche il premio Nobel Joseph Stiglitz, che esaltava la politca economica di Chávez, le nazionalizzazioni, la redistribuzione delle risorse e diceva che l’elevata inflazione non era un male per l’economia. Ora, dopo anni in cui è stata dilapidata l’immensa fortuna derivante dal boom del petrolio, il Venezuela è in crisi nera: recessione del 7 per cento, pil pro-capite come negli anni 60, moneta che vale un millesimo rispetto al ’98, inflazione oltre il 100 per cento, deficit al 15 per cento, tassi di corruzione e omicidi tra i più alti al mondo, oppositori politici in carcere senza processo ed esclusi dalle elezioni. Un fallimento politico, economico e democratico. Ma dai cantori del chavismo nessuna parola. Ne basterebbero tre: “Ci siamo sbagliati”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali