Sundar Pachai, nuovo ceo di Google

La rilevanza indiana, una promessa per l'occidente

Ugo Bertone
La prima volta che la famiglia di Sundar Pachai, indiano di Chennai classe 1972, ha potuto permettersi un telefono correva l’anno 1984. Una vera rivoluzione, visto che un paio d’anni prima il ragazzino aveva dovuto effettuare un viaggio in bus di due ore e mezza per raggiungere l’ospedale e ritirare l’esito degli esami del sangue del padre.

Roma. La prima volta che la famiglia di Sundar Pachai, indiano di Chennai classe 1972, ha potuto permettersi un telefono correva l’anno 1984. Una vera rivoluzione, visto che un paio d’anni prima il ragazzino aveva dovuto effettuare un viaggio in bus di due ore e mezza per raggiungere l’ospedale e ritirare l’esito degli esami del sangue del padre: trasferta inutile perché i risultati non erano ancora pronti. La prima volta che il giovane talento, già vincitore delle Olimpiadi della matematica istituite fin dai tempi del Pandit Nehru, poi ammesso all’Indian Institute of Technology (solo 750 studenti, dopo una selezione durissima tra centinaia di migliaia di candidati), ha varcato la frontiera americana risale al 1993. Papà Regunatha, ingegnere elettrico relativamente benestante assieme alla mamma stenografa (la famiglia, compreso il fratello, disponeva di uno scooter per muoversi in quattro), aveva deciso che quel figlio prodigio doveva rispondere alla chiamata dell’Università di Stanford. “Per farmi arrivare fin lì – ricorda Sundar – dovette dar fondo ai risparmi di famiglia”.

 

E non furono esordi facili: non c’erano soldi per i libri di testo (“sessanta dollari, e chi li aveva?”) ma, soprattutto, mancava l’amata Anjali, oggi signora Pachai, con due figli; come ogni famiglia americana che si rispetti. Ecco, in sintesi, l’ultimo miracolo dell’American way of life: il ragazzino di Chennai, approdato a Google nel 2004, lo stesso giorno del varo di Gmail (“credevo fosse uno scherzo di aprile, uno di quelli per cui l’azienda andava famosa”), è da martedì alla testa del colosso di Mountain View, il frutto più prezioso della rivoluzione di Internet. Mica male per uno che di Internet ne ha sentito parlare, per la prima volta, una ventina di anni fa, appena sbarcato con la valigia di cartone (o quasi) dal subcontinente indiano. Una sorta di miracolo, o forse no, vista la nutrita pattuglia di indiani alla testa della tecnologia americana. Bill Gates, al momento di sostituire Steve Ballmer alla testa di Microsoft, ha puntato sull’indiano Stya Nadella, che sta rivoltando il re del software come un calzino. Larry Ellison, padre padrone di Oracle, ha affidato le strategie dello sviluppo a Thomas Kurian il cui fratelle gemello, George, è il ceo di Net App, il colosso del Cloud Computer che figura al quinto posto tra i migliori datori di lavoro americani.

 

[**Video_box_2**]Nessuno, però, ha dovuto assumere un’eredità così pesante e prestigiosa come quella che gli è stata affidata dalla coppia Brin-Page, che di sicuro vigileranno da vicino sulle sorti della loro creatura. Ma Pachai, emerso dopo una selezione tanto silenziosa quanto dura, sembra avere le carte in regola. Il problema non è tanto di confermare la leadership del motore di ricerca quanto di contestare i primati nell’e-commerce di Amazon e di Facebook sui social network. Senza dimenticare la frontiera della tv, a partire dalla base di YouTube. Per guidare la sfida ci vuole un grande esperto di mobile. E chi meglio di Pachai, uno che conosce a memoria le performance di Android e dei concorrenti. Con un sogno: diffondere Google drive nel cuore della giungla, magari un attimo  prima che ci arrivi Facebook.

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