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Come liberare il dibattito meridionalista dal complesso della “rinuncia”

Federico Pirro
"Piuttosto che un forzato contributo finanziario all’industrializzazione il fatto centrale consiste in una più radicale ‘rinuncia’ a utilizzare nel processo di ammodernamento del paese le potenziali risorse umane, economiche, politiche e intellettuali del Mezzogiorno".

"Piuttosto che un forzato contributo finanziario all’industrializzazione, che pure non è mancato e che ha ostacolato i nuclei di borghesia agraria più moderna e fattiva, il fatto centrale consiste in una più radicale ‘rinuncia’ a utilizzare nel processo di ammodernamento del paese le potenziali risorse umane, economiche, politiche e intellettuali del Mezzogiorno. E’ in questa forma che l’esistenza della questione meridionale ha fatto sentire il suo peso negativo lungo tutta la storia nazionale”.
Così affermava Rosario Villari nel ’74 (“Il sud nella storia d’Italia”) per spiegare l’origine del dibattito sulla questione meridionale. La ricerca delle radici di tale “rinuncia” ha portato il dibattito sul Mezzogiorno a un’evidente degenerazione. C’è sì il centro studi Svimez che con il differenziale di crescita tra nord e sud tenta di elaborare la Questione sintetizzandola in percentuali. C’è poi Roberto Saviano che lo fa con una certa retorica teatrale. Declinatela come volete, ma l’elaborazione della rinuncia coincide oggi con “l’urlo di dolore” dello scrittore campano. Non si adonti Saviano per l’invito a smetterla con i piagnistei nel sud del premier Renzi. Non se ne adonti e contribuisca al contrario anche lui con la sua apprezzata capacità di scrittura a fare conoscere meglio l’Italia meridionale, che non è solo – diciamolo con forza – il soggetto e lo sfondo di un eterno romanzo criminale, ma è anche la modernità di tante aziende industriali piccole, medie e grandi, il rilancio di migliaia di imprese agricole condotte ora anche da giovani coltivatori, di imprese turistiche, alberghi, resort, campeggi e b&b in tante rinomate località, di start-up del terziario avanzato, di centri di ricerca avanzatissimi.

 

Lo ripetiamo: nessuno vuole negare le forti criticità occupazionali nell’Italia meridionale, il suo minor tasso di crescita rispetto al nord, i persistenti problemi infrastrutturali esistenti. Ma siamo ormai in tanti nel sud a rifiutarci molto laicamente di aderire alla nuova (o vecchia?) religione della denuncia del sottosviluppo permanente, del meridione senza speranza, della sua catastrofe prossima ventura. Sì, siamo tanti gli eretici, rispetto all’eterna dogmatica del divario. I dati che si sono portati in questi ultimi giorni hanno cercato di dimostrare che tante zone del sud sono ormai in movimento, hanno resistito alla crisi e sono tornate a competere con i loro sistemi produttivi con aree più avanzate del centro-nord e del Mediterraneo.

 

[**Video_box_2**]Ma si chiede sempre al governo di intervenire, di assumere la questione meridionale come “fattore centrale per lo sviluppo del paese”, dimenticando o almeno sottovalutando quello che già è stato fatto. Se ne vuole un altro esempio, oltre a ciò che è stato già scritto in questi giorni? Il decreto sblocca Italia, convertito a fine 2014 in legge dal Parlamento, è entrato in vigore col suo potenziale di accelerazione nell’attuazione di interventi a lungo attesi in varie parti d’Italia e soprattutto nel Mezzogiorno, ove sono numerosi quelli previsti da vari articoli del provvedimento. Ne vogliamo ricordare alcuni per chi li avesse dimenticati? Nel settore ferroviario, la Napoli-Bari, la Palermo-Catania-Messina e il miglioramento della tratta Salerno-Potenza-Taranto; poi il completamento del sistema idrico Basento-Bradano; alcuni tratti stradali fra cui altri lotti della Salerno-Reggio Calabria, la statale Telesina e quella dei Trulli fra Casamassima e Putignano in Puglia; la Metropolitana di Palermo e l’aeroporto di Salerno. Di rilievo poi sono bonifica e rigenerazione urbana a Napoli del comprensorio Bagnoli-Coroglio, mentre un impatto positivo sull’attuale assetto delle Autorità portuali anche del sud potrà avere il Piano strategico nazionale della portualità, previsto dall’art. 29 della legge che il ministro Delrio ha presentato nelle scorse settimane. Nessuno però – ma potremmo sbagliarci – ha chiesto di sapere a che punto siano gli stati di avanzamento di quegli interventi inseriti nel provvedimento del governo approvato dal Parlamento. E sulla disoccupazione, soprattutto di quella giovanile, vogliamo incominciare – lo dico ai sindacati – a fare analisi molto accurate circa i titoli di studio posseduti dai giovani che ne sono purtroppo colpiti? Non dovremmo chiederci allora se molte lauree sono state conseguite in discipline che da anni non hanno richiesta sul mercato del lavoro, a differenza di quelle in discipline scientifiche come ingegneria, fisica, chimica, informatica, geologia, scienze ambientali? E sulla risorsa del turismo vogliamo ricordare che anche nelle più rinomate località del sud centinaia di alberghi rimangono chiusi da ottobre sino ad aprile, quando invece con politiche di allotment si potrebbero ospitare migliaia di turisti nordici della terza età che, invece, con voli charter vanno a svernare a Rodi e in altre isole dell’Egeo? E vogliamo finalmente praticare politiche di incoming per 12 mesi l’anno, mettendo a valore il capitale fisso immobilizzato nella ricettività, altrimenti destinato a restare inattivo? Allora, “il rimbocchiamoci le maniche” lanciato da Renzi ha l’evidente significato di un appello a un impegno corale. Un impegno per costruire, realizzare, rilanciare, modernizzare, partendo dalle grandi risorse già disponibili nel sud. Chiudo con un invito a Roberto Saviano: a quando un suo nuovo romanzo, ma questa volta sul sud delle modernità e delle sfide al futuro?

 

Federico Pirro è docente all'Università di Bari

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