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C'è (ancora) posto su Uber per il Renzi 1. Lezioni americane

Alberto Brambilla
Il Gop è già addicted. In Italia tutti i partiti sono favorevoli all’app anti taxi ma nessuno ha il coraggio di intestarsi una leggina

Roma. Uber è il vestito perfetto per avvolgere un’agenda economica liberale tendente a destra, almeno secondo le tradizionali categorie della dialettica politica. Lo sanno bene gli esponenti del Partito repubblicano in lizza per la candidatura alla Casa Bianca, molto abili a sfruttare il simbolismo e l’appeal dell’applicazione che fa concorrenza ai taxi. Jeb Bush si fa scarrozzare tra una convention e l’altra sulle berline nere di Uber; è stato fotografato a San Francisco. Marco Rubio tuìtta e polemizza con il sindaco di New York Bill De Blasio, uno prono alla lobby degli “yellow cab”. Ted Cruz paragona la sua persona a Uber in quanto vorrebbe frantumare (to disrupt) Washington come l’applicazione creata da Travis Kalanick e Garrett Camp sta frantumando le prassi della mobilità urbana. Sono tutti amici di Uber questi repubblicani e di riflesso i democratici sono guardinghi, vedi Hillary Clinton e, appunto, De Blasio. In Italia tutti i partiti hanno espresso, attraverso alcuni loro esponenti più o meno influenti, pareri favorevoli quando non entusiastici verso Uber per la portata rivoluzionaria della disintermediazione nel trasporto pubblico urbano, la capacità potenziale di creare nuovi posti di lavoro e quella di sottrarre all’illegalità il mercato dei conducenti.

 

A Roma lavorano 7.000 autisti di Noleggio con conducente (Ncc) ma in realtà il comune ha emesso solo 1.000 autorizzazioni circa. Uber è presente in Italia da febbraio 2013 con un servizio simile al Ncc. E’ sotto assedio da parte della corporazione dei tassisti fin dal suo arrivo e ancora di più da quando ha lanciato l’applicazione UberPop, con la quale chiunque può mettersi in servizio con la propria auto e cominciare a lavorare per Kalanick &Co. Uber prevedeva di raggiungere 8 città, ma il servizio è ora fruibile solo a Milano e Roma (a Genova, Torino e Padova è stato bandito con il divieto a UberPop). I progressi vanno a rilento e forse questo c’entra qualcosa con l’avvicendamento al vertice: Benedetta Arese Lucini dopo una battaglia condotta in prima linea, causa di attacchi irrispettosi alla sua persona, verrà sostituita come direttore generale da Carlo Tursi, manager concentrato sull’espansione nella Capitale. Al netto delle dichiarazioni pubbliche dall’agone politico, nessuno sembra avere il coraggio di intestarsi la battaglia che fa eccitare il Gran Old Party oltreoceano. C’è sempre una buona scusa per rimandare la questione: l’Expo, il Giubileo, e poi, chissà, le Olimpiadi. L’importante è non far arrabbiare i tassisti. Eppure a settembre qualcuno dovrà dimostrare la sua nobiltade. L’Autorità dei Trasporti, l’Antitrust e il ministero dello Sviluppo economico si sono già espressi auspicando l’introduzione di norme nel ddl concorrenza per la sostanziale liberalizzazione degli Ncc, ovvero per consentire un’ampia interpretazione della norma e permettere a Uber di esprimere al massimo il suo potenziale “disruptive” liberando un esercito di conducenti pronti a mettersi al volante. A settembre vari emendamenti di questo tenore verranno votati in commissione Attività produttive alla Camera. Le incognite riguardano Forza Italia, Nuovo centrodestra, Movimento 5 stelle – che non ha una posizione univoca o chiaramente favorevole – e un pezzo del Partito democratico, che potrebbe sobillare la fronda.

 

[**Video_box_2**]Nel 2014 a opporsi fu Maurizio Lupi, da ministro dei Trasporti, da subito succube dei tassisti milanesi (suo potenziale bacino di voti in caso di candidatura a Palazzo Marino). Ora i vertici del ministero sono cambiati, c’è Graziano Delrio, ma da lui non è arrivato nessun coming out (equivale a un silenzioso diniego?). Filippo Taddei è un uberista convinto ma sebbene sia un organico del partito di governo con un certo peso – è responsabile economico del Pd – i suoi endorsement hanno avuto presa relativa. Si può dire altrettanto del premier e segretario del Pd Matteo Renzi che da oltre un anno non si esprime sul punto (“Uber è un servizio straordinario, ce ne occuperemo”, disse). C’è ancora posto in auto per Renzi, o meglio per il Renzi 1, quello rottamatore, disruptor, se vuole far sentire il suo peso sui cacicchi locali e liberare lavoro e possibilità di movimento.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.