Il ministro iraniano del Petrolio, Namdar Zanganeh (foto LaPresse)

Il ras del Petrolio

Gabriele Moccia
Colletto della camicia rigorosamente alla coreana, barba bianca (quasi un obbligo per i servitori della Repubblica islamica), Bijan Namdar Zanganeh è il ministro del Petrolio iraniano, uno dei più fedeli tecnocrati nel cerchio magico del presidente Rohani.

Roma. Colletto della camicia rigorosamente alla coreana, barba bianca (quasi un obbligo per i servitori della Repubblica islamica), Bijan Namdar Zanganeh è il ministro del Petrolio iraniano, uno dei più fedeli tecnocrati nel cerchio magico del presidente Rohani. Protetto del potentissimo presidente del Consiglio per il discernimento della Repubblica, Hashemi Rafsanjani, Namdar Zanganeh è un vero ras dell’energia.

 

E’ lui che in queste settimane sta gestendo la complessa partita per riportare le compagnie occidentali nuovamente a Teheran, dopo l’accordo sul nucleare di Vienna. Con Zanganeh hanno già parlato i rappresentanti dei governi tedesco e francese. Ed è con lui che dovrà discutere anche il governo italiano, in occasione della missione diplomatica di questi giorni del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi.  Guidi incontrerà Zanganeh già questo pomeriggio, ultimo incontro ufficiale in programma prima del rientro a Roma. Con il ministro, del resto, sta già trattando l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, per riavviare un rapporto interrotto dalle sanzioni. Ancora di recente, durante una conference call con gli analisti, il ceo del Cane a sei zampe ha ribadito l’interesse del gruppo a investire nel paese, a patto però che si risolva il nodo dei contratti.

 

Sarà un po’ per le sue origini rurali – un passato anche da ministro dell’Agricoltura in un momento non facile, quando in Iran si moriva di fame a causa della guerra con l’Iraq di Saddam – un po’ per i suoi studi scientifici, ma di Zanganeh nei circoli diplomatici molti ne apprezzano la concretezza negli affari. Da ingegnere, prima di parlare, preferisce sempre guardare numeri e dati, anche a costo di sembrare sempre un po’ tranchant. Come quando, durante il suo primo mandato da ministro del Petrolio (1997-2005), ovvero all’epoca del governo del riformista Khatami, appena arrivato ad Avenue Felestin – sede del suo dicastero nella capitale iraniana – disse che c’erano troppi dipendenti e che avrebbe bloccato le assunzioni. In quel periodo però riuscì ad avviare due progetti importanti per lo sviluppo economico della Repubblica islamica: la definitiva apertura al gas come fonte di approvvigionamento elettrico, potenziando il ruolo della National Iranian Gas Company (Nigc); la riduzione del peso dei sussidi sui carburanti e la creazione di una Borsa del petrolio per alimentare il mercato dei capitali così da finanziare i progetti sull’energia. Un percorso difficile, a tratti rivoluzionario dato il contesto iraniano, culminato con l’avvento del governo conservatore di Ahmadinejad. Con Ahmadinejad le proposte che lui voleva portare avanti quando è stato nominato ministro per la prima volta sono naufragate.

 

Ora Zanganeh ha in mano un’opportunità storica, visto che controlla direttamente la produzione, attraverso la National Iranian Oil Company (Nioc), la raffinazione e distribuzione con la National Iranian Oil Refining and Distribution Company (Niordc) e il settore petrolchimico con la National Petrochemical Company (Npc). La fine delle sanzioni consente di riavviare tutti i progetti energetici sepolti dal gap tecnologico e di risorse finanziarie motivato dall’isolamento economico iraniano. L’ostacolo principale però si chiama Opec ed è incarnato dal potentissimo omologo saudita di Zanganeh, il ministro del Petrolio Ali Naimi.

 

Durante lo scorso vertice Opec di giugno, nonostante l’iraniano abbia provato a rompere gli equilibri interni, alla fine è passata la linea di Riad di mantenimento del tetto alla produzione. La rivalità tra Naimi e il ministro iraniano è nota. Teheran non può più permettersi economicamente di appoggiare la guerra dei paesi del Golfo contro i produttori americani di shale oil e shale gas, ovvero gli idrocarburi estratti dalle rocce di scisto con getti di acqua e agenti chimici. Ecco perché il suo collega agli Esteri Mohammad Javad Zarif, è volato recentemente a Dubai e in Bahrein, con il compito di spiegare l’accordo sul nucleare e spezzare l’asse tra gli Emirati e il Regno saudita.

 

[**Video_box_2**]Per pagarsi gli investimenti, dunque, il ministro iraniano ha davanti a sé due strade: o spera in un innalzamento repentino del prezzo del petrolio – cosa improbabile, vista la discesa del prezzo del greggio sotto i 50 dollari al barile che rischia addirittura di acuirsi assieme al collasso delle materie prime più in generale – oppure apre gli affari ai gruppi stranieri che orbitano in queste settimane attorno a Teheran. L’obiettivo è comunque ambizioso: entro il 2020 raggiungere 185 miliardi di dollari in progetti di sviluppo nel petrolio e nel gas. La Francia non ha perso tempo, il capo di Total, Patrick Pouyanné, si è già messo d’accordo con il signore del petrolio di Teheran per far ripartire progetti sul gas naturale liquefatto. Zanganeh, e il suo vice, Hossein Zamaninia, tallonano a stretto giro anche la tedesca Siemens e l’americana General Electric per il mercato degli alternatori elettrici. Zanganeh ha dunque tra le mani le leve energetiche della quarta potenza petrolifera globale ed è con lui che bisognerà trattare. 

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