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Auto Vorherrschaft

Alberto Brambilla
Volkswagen batte le vendite realizzate da Toyota. Spunti sulla supremazia tedesca nel settore automobilistico e sugli stimoli italiani per approfittarne da un dibattito al Senato animato da Massimo Mucchetti

Roma. Volkswagen ha superato Toyota per numero di vendite globali di automobili nella prima metà di quest’anno, tre anni prima del previsto. Il gruppo giapponese ha comunicato ieri di avere venduto 5,02 milioni di veicoli nei primi sei mesi del 2015, mentre il gruppo tedesco ne ha venduti 5,04 milioni. Le consegne sono diminuite per entrambi ma il calo per Toyota è stato dell’1,5 per cento, mentre Volkswagen ha contenuto i danni a meno 0,5 per cento. Il primo costruttore di Germania ha approfittato della ripresa del mercato automobilistico europeo dopo una gelata durata cinque anni e mezzo, a conferma della predominanza dell’industria tedesca in Europa.

 

“La palla è rotonda. Ci sono tanti fattori da valutare come il ciclo di produzione e i mercati di riferimento. Ma diciamo che siamo a metà anno, è il primo tempo”, dice Luca de Meo, membro del board di Audi Ag, in qualità di responsabile vendite e marketing del marchio delle auto di lusso tra i molti controllati da Volkswagen. De Meo, classe 1967, laureato in Bocconi e manager cresciuto in Fiat – ex delfino di Sergio Marchionne – è arrivato al quartier generale di Audi a Ingolstadt (Baviera) nel 2009 ma la folgorazione “sulla via di Grugliasco”, ha detto, è arrivata all’età di cinque anni a un rally in Africa che vedeva la Lancia protagonista. De Meo è intervenuto, insieme ad altri esponenti autorevoli della filiera del settore automobilistico, al convegno organizzato ieri in Senato per la presentazione di un corposo studio su “Il settore automotive nei principali paesi europei” realizzato da Unioncamere e Prometeia su impulso della commissione Industria del Senato, presieduta da Massimo Mucchetti.

 

Da manager italiano trapiantato in Baviera, De Meo ha espresso, come suggerimento, l’esigenza futura per l’Italia di assecondare, a partire dalla formazione scolastica, la prevalenza della Germania nell’economia europea mentre le sinergie tra i due paesi si intensificano. La Germania è l’unico paese che dal 1995 è riuscito a raddoppiare il valore aggiunto generato dalla filiera industriale domestica con un aumento dell’incidenza sul pil e dell’occupazione manifatturiera. Audi è tra le prime 25 aziende operanti in Italia in termini di occupati e programma di raddoppiare l’investimento di un miliardo di euro fino al 2019 in forza della decisione di produrre i Suv Lamborghini – marchio comprato da Volkswagen nel 2008 – in Emilia Romagna anziché in Slovacchia.

 

[**Video_box_2**]“De Meo non lo dice, ma non sono così sicuro che senza un incentivo di 80 milioni di euro per un investimento di 7-800 milioni, sarebbero arrivati così facilmente”, ha detto Mucchetti, senatore del Pd. Mucchetti è convinto che sia necessario usare incentivi mirati sul territorio per attirare investimenti esteri e anche mobilitare fondi d’investimento pubblici, ha detto riferendosi allo sviluppo dell’indotto auto e rivolgendosi all’ad del Fondo strategico italiano, Maurizio Tamagnini, presente in sala. Mucchetti dice di parlare escludendo posizioni ideologiche preconcette e chiede di cominciare a ragionare a partire dal fatto che gli investimenti esteri sono arrivati soprattutto grazie al dispiegamento di strumenti pubblici che hanno messo in moto le forze del mercato. E’ anche per questo che il gruppo americano General Motors – nota Mucchetti – ha insediato a Torino il suo centro di ricerca su motori Diesel, nato da una joint venture con Fiat poi sciolta, attivando in seguito un serie di partnership con il Politecnico piemontese.

 

Tuttavia altri fattori concomitanti hanno contribuito alla scelta di Lamborghini. Ad esempio, la velocità della catena di montaggio è aumentata del 10 per cento e le pause sono state ridotte a 26 minuti anziché 30 come in Fiat – Maurizio Landini (Fiom), ieri presente al convegno, ha accettato le condizioni di Lamborghini ma quando era Fiat a chiedere “meno pause” salì sulle barricate. Senza contare che gli impianti di Bratislava erano già saturi di produzioni estere giunte grazie a un costo del lavoro basso – pari a un quarto di quello italiano – e una media alta di ore lavorate. Il “fattore incentivo”, dunque, non è l’unica leva e peraltro è considerata ormai anacronistica dal principale produttore nazionale, cioè Fiat, che pure ne ha approfittato per decenni. “Spero che il governo non decida incentivi per il settore auto – disse l’ad di Fiat-Chrysler, Marchionne, quand’era in procinto di portare a Wall Street il settimo produttore auto del mondo – Non voglio incentivi perché drogano il mercato. Non chiediamo niente ma non vogliamo ingerenze nel mercato. Lasci che il mercato vada dove vuole”.

 

Il premier Matteo Renzi, che ha stabilito una cordiale relazione con Marchionne, ha disertato l’incontro in Senato. Inoltre le imprese sia a monte (Brembo, leader nei sistemi frenanti) sia a valle (i concessionari associati a Federauto) della filiera nazionale dell’industria dell’automobile hanno ribadito, con l’occasione di ieri, la richiesta rivolta al legislatore di ridurre la pressione fiscale sull’attività di ricerca e sui consumi. (a.bram.)

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.