Il premier greco Alexis Tsipras (foto LaPresse)

Per Tanzi (ex Fmi), l'Europa ha rimandato fin troppo la Grexit

Luciano Capone
La Grecia starà peggio dell’Argentina. Ma salvare l’irriformabile Atene mina la credibilità dell’euro

Milano. La strada per un accordo che salvi la Grecia si fa sempre più stretta e tortuosa e di tempo ce n’è sempre meno. A questo punto l’ipotesi Grexit diventa più probabile e per Vito Tanzi, per vent’anni direttore del dipartimento di Finanza pubblica del Fondo monetario internazionale, non sarebbe la soluzione peggiore: “Già tre anni fa scrissi un articolo sulla crisi greca in cui sostenevo che la cosa migliore per l’euro fosse l’uscita di Atene”. Quell’articolo si intitolava “Separare la parte infetta” ed era un capitolo di un libro pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni che parlava della crisi dell’euro, intitolato profeticamente “Se va bene, andrà peggio”. “Sostenevo che la Grecia non doveva necessariamente lasciare l’Unione europea, ma stava generando già allora molte esternalità negative sull’unione monetaria con la sua politica di deficit e manipolazione dei conti pubblici – dice al Foglio Tanzi – Hanno ottenuto grazie a quei trucchi molto credito dall’estero, finito poi in spesa corrente, stipendi e pensioni che non avrebbero potuto mai permettersi. La Grecia continua a volere più soldi dagli altri senza però usarli in maniera sostenibile e produttiva, ci sono riforme che vanno fatte necessariamente, altrimenti è come dare soldi a un drogato che non ha intenzione di smettere”.

 

La scarsa volontà di affrontare un percorso di riforme strutturali è l’ostacolo più grande alla permanenza della Grecia nell’euro ed è un problema maggiore dell’insostenibilità del debito: “Se si mostrasse l’intenzione di fare riforme precise, con leggi immediatamente approvate, si potrebbe anche pensare di ristrutturare il debito. Ma il problema è che manca la voglia di riformare il sistema, non c’è fiducia reciproca e protrarre questa situazione espone l’unione monetaria a pericoli sistemici”. In pratica la credibilità delle regole dell’Eurozona, sia all’interno che all’esterno, è più importante dei danni che può causare una Grexit. Ma da diverso tempo a questa parte diversi economisti, con in testa il Nobel Paul Krugman, sostengono che il ritorno alla dracma sarebbe positivo proprio per la Grecia. Krugman cita come esempio l’Argentina che dopo il default e la svalutazione del peso ha avuto un’impennata dell’export. Tanzi, che conosce bene l’Argentina per averci vissuto e lavorato con il Fmi, dice che le cose non stanno così: “Chi confronta i due paesi mostra un’ignoranza delle diverse situazioni ed economie – dice – L’Argentina all’epoca del default aveva un debito pubblico del 50 per cento circa, molto modesto rispetto alla Grecia. Negli anni precedenti, il governo di Menem e Cavallo aveva fatto diverse riforme strutturali, liberalizzazioni e privatizzazioni. Il problema era che continuavano a spendere troppo, ma l’economia era molto più libera e dinamica di quella greca. Infine, il punto più importante: l’Argentina è un grande esportatore di commodities e per fortuna dopo il default il prezzo delle commodities salì alle stelle, trascinato dalla crescita di Cina e Brasile. La Grecia invece ha poco da esportare, e dovrebbe affrontare l’aumento del costo delle importazioni di beni essenziali”. Più che l’Argentina, la Grecia diventerebbe una Cuba del Mediterraneo: un’economia con due monete, l’euro usato dagli stranieri e la dracma dai greci, basata su turismo, olive e feta (al posto di sigari e canna da zucchero).

 

[**Video_box_2**]Il passaggio non sarà indolore, in Argentina ci furono scontri di piazza, scarsità di beni e instabilità politica: “I problemi saranno seri e serviranno aiuti umanitari, magari attraverso l’Ue di cui la Grecia resterà membro, ma la cosa peggiore per l’euro è continuare in questa incertezza per settimane e mesi. Invece si rafforza se si arriva a una decisione chiara che rispetti le decisioni democratiche della Grecia, a cui però corrisponde la responsabilità di vivere con mezzi propri”.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali