Un momneto di pausa da uno degi summit dell'Eurogruppo della scorsa settimana (foto LaPresse)

Più mercato, meno eurosummit

Luciano Capone
Una procedura ordinata d’uscita dall’euro è l’unica riforma utile per Atene. Lady Spread avrebbe gestito meglio il caso greco. Parla Bisin (New York University).

Milano. “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me”. Per capire le radici della crisi politico-istituzionale dell’Eurozona bisogna ritornare a Marx (Groucho, ovviamente). Se prima di entrare nella moneta comune la Grecia avesse seguito la regola di vita del comico statunitense, cioè non fosse entrata in un club che le avrebbe permesso di continuare ad accumulare deficit, le cose non si sarebbero messe così male. Certo, Atene non avrebbe avuto una crescita gonfiata da credito facile, spesa allegra e debito pubblico garantiti dalla moneta comune, ma neppure l’esplosione della bolla e la dura terapia d’austerity cui è stata sottoposta successivamente. Avrebbe dovuto affrontare prima i problemi strutturali e senza l’aiuto o i diktat (a seconda dei punti di vista) di Bruxelles, della Germania e degli altri stati europei. Ovviamente, vista la scarsa propensione della classe dirigente greca a pensare nel lungo periodo (altrimenti il paese non sarebbe in queste condizioni), la responsabilità maggiore è in capo a chi ha permesso l’ingresso di economie come quella greca nell’Eurozona. Sono quasi tutti d’accordo che così non si può andare avanti, ma mentre la gran parte di chi vuole salvare l’euro propone maggiore integrazione politica e fiscale (Eurobond o sussidio di disoccupazione europeo), c’è chi come Alberto Bisin, economista della New York University e animatore del blog economico NoiseFromAmerika, è convinto che invece serva una procedura di uscita dall’euro per chi non può più starci: “Non è vero che un’unione monetaria senza unione fiscale non può funzionare”, dice Bisin in una conversazione con il Foglio.

 

Non è vero che serva “più Europa!”, continua Bisin. “Semplicemente c’è bisogno di un processo di uscita per far sì che siano i mercati e non la politica a stabilizzare i paesi fiscalmente irresponsabili”. E a proposito della Grecia Bisin già diversi anni fa, nel suo libro “Favole e numeri”, consigliava di non continuare con bailout e momorandum, ma di lasciare la Grecia al proprio destino. Il problema ora non è tanto che chi non doveva sia entrato nell’euro, ma che non possa uscirne, o meglio, che non sia prevista una procedura per un’uscita ordinata. Un processo del genere eviterebbe lunghe trattative, crisi istituzionali e funzionerebbe meglio di un ulteriore accentramento di poteri politico-fiscali a Bruxelles: “Quando c’è un insieme di paesi perfettamente integrati a livello culturale e istituzionale, l’unione fiscale è una cosa positiva, impedisce operazioni di irresponsabilità fiscale e permette una redistribuzione di risorse tra stati in caso di choc avversi. Negli Stati Uniti questo sistema funziona bene, ma è un unico paese con una struttura istituzionale e culturale molto simile, con un’integrazione del mercato del lavoro e dei capitali”. In Europa le cose stanno diversamente, perché non si ha a che fare con stati che hanno subìto uno choc, ma con paesi che “hanno utilizzato i vantaggi dell’unione monetaria per fare politiche fiscali irresponsabili, che in pratica hanno speso soldi degli altri. Questo è chiaramente quello che ha fatto la Grecia, ma anche l’Italia e la Spagna hanno speso molto di più grazie ai tassi bassi garantiti dall’euro”.

 

[**Video_box_2**]La scintilla della crisi può essere una qualsiasi causa esterna, ma la radice è nei problemi strutturali delle economie dei paesi e negli incentivi di questa unione monetaria: “Occorre evitare di trovarsi in questa situazione – dice Bisin – Non solo per impedire di far spendere di più alla Grecia prima, ma anche per non dover imporre tagli dolorosi dopo. Bisogna bloccare questo meccanismo prima che si metta in moto. Un metodo è l’unione fiscale, cioè che si decida in Germania e a Bruxelles cosa spendono i greci. Questo sistema negli Stati Uniti non è un problema, ma in Europa è una follia perché non c’è omogeneità culturale e nessuno rinuncia alla sovranità nazionale. Ma oltre alle reazioni delle popolazioni c’è il problema che tutte queste questioni vengono poi gestite dalla politica, che lo fa in maniera enormemente inefficiente”. Se la politica intergovernativa è incapace di coordinare i problemi e di trovare le soluzioni, e se si vuole salvaguardare anche una certa autonomia fiscale a livello nazionale, l’unica alternativa è che i comportamenti dei paesi vengano regolati e giudicati dai mercati che alzano i tassi quando c’è timore di non essere ripagati. Altro che primato della politica. Ma così non si rischia di finire sotto quella che viene chiamata “dittatura dello spread”? “Ci sono un sacco di mercati inefficienti, ma questo funziona che è una meraviglia – dice Bisin – In questi dieci anni le cose non hanno funzionato perché ai mercati è stato detto che non esiste un meccanismo di uscita, che l’euro è irreversibile, quindi che se la Grecia spende troppo a pagare saranno i tedeschi e gli altri europei. Fino a un certo punto i mercati ci hanno creduto. Invece bisogna creare un chiaro meccanismo che stabilisca che i paesi che fanno politiche insostenibili escono dall’unione monetaria attraverso un processo ordinato che eviti conseguenze disastrose per tutti. A quel punto niente più lunghe trattative, bracci di ferro e ricatti, ci penseranno i mercati che nel caso della Grecia sarebbero intervenuti già dieci anni fa”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali