Il premier greco Alexis Tsipras (foto LaPresse)

Il grande disegno di Al-exit Tsipras

Marco Valerio Lo Prete
Altro che incidente. Perché il Grexit è un millimetrico piano politico che non riguarda solo la Grecia. La politica di Tsipras, quella dei populisti con i soldi degli altri, può condurre all’uscita di Atene dalla moneta unica.

Roma. Nella riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea degli scorsi 2 e 3 giugno, di cui sono state pubblicate le minute, il tempo dedicato a discutere l’affaire greco sarebbe stato pochino. Subito il pensiero corre a quella riunione della Fed americana del 16 settembre 2008 in cui si ragionò più del possibile contagio inflazionistico dei prezzi del petrolio che del fallimento di Lehman Brothers avvenuto 24 ore prima. Ci risiamo: la Grexit sarebbe dunque l’“incidente irrazionale”, quello che nessuno si attendeva, nemmeno i governatori delle Banche centrali. D’altronde la settimana scorsa giornaloni attenti come il Financial Times sono parsi tenere il punto: il premier greco Tsipras che a notte fonda comunica di sospendere il giudizio sulle proposte dei partner internazionali e convoca un referendum popolare, secondo loro, rientrerebbe alla voce “incidente irrazionale”. Poi però, nella settimana successiva, è sembrato tutto un susseguirsi di “incidenti irrazionali”: Tsipras che ritorna al tavolo delle trattative, che forse si rimangia il referendum, ma poi urla al complotto in tv, il ministro Varoufakis che “ci faremo comunque portatori della volontà dei greci”, e che invece ieri annuncia le dimissioni in caso di vittoria del “sì” alle proposte dei creditori. E allora pure per gli analisti finanziari, finora troppo attenti a come tutto sarebbe dovuto andare e non invece a come sarebbe potuto andare, arriva il momento di correggere il tiro. S’avanza tra loro un dubbio, come ha scritto Giuliano Ferrara su questo giornale: altro che incidente, “niente è mai inevitabile quando è in ballo la politica”. E la politica di Tsipras, quella dei populisti con i soldi degli altri, può condurre all’uscita della Grecia dalla moneta unica.

 

Ieri Simon Nixon, sul Wall Street Journal, ha avviato il ripensamento con una semplice domanda: “Quante delle tattiche messe in campo da Tsipras negli ultimi cinque mesi sono state guidate dall’incompetenza, e quante dalla conspiracy?”, si è chiesto Nixon, dove “conspiracy” sta per premeditazione un po’ complottarda. Una risposta definitiva forse nemmeno gli storici riusciranno a offrirla, ma la sensazione è che “nell’ipotesi in cui Tsipras avesse in cuor suo deciso già a gennaio di trascinare la Grecia fuori dall’Eurozona, è difficile pensare che avrebbe dovuto fare qualcosa di diverso da quello che ha fatto”. Tsipras infatti lo scorso gennaio vinse le elezioni promettendo di cambiare l’Eurozona per farla a misura di Grecia (proporre il Grexit nel 2012 non gli portò bene). Dopodiché, di velina in velina su un accordo sempre “a portata di mano”, il premier ha evitato un’emorragia di depositi dalle banche che altrimenti sarebbe stata più repentina di quella che comunque c’è stata. Il tutto senza mai presentare proposte di policy dettagliate e concrete, emerge ora. Non solo, osserva Nixon: Tsipras ha trascinato i negoziati fino alla scadenza degli aiuti internazionali (30 giugno), fino al default nei confronti del Fondo monetario internazionale (il primo di un paese sviluppato dal 1945), e solo a questo punto ha convocato un referendum fuori tempo massimo che non poteva che portare ai controlli sui capitali e al dissanguamento delle banche elleniche. Se questo non è un piano per uscire dalla moneta unica, e per convincere l’opinione pubblica dell’inevitabilità dell’uscita, allora cos’è? Nixon quindi non esclude più che Tsipras avesse una “missione” e “un piano segreto”, anche se ammette che tutti i leader europei con la testa sulle spalle continuano a ritenere che gli eventi degli ultimi giorni siano stati colpa “dell’inesperienza o dell’incompetenza”. Che poi, a dire il vero, l’ideologia non esclude l’incompetenza. Un altro attento osservatore americano di cose europee, Erik Jones, sostiene che dal 2010 fino al dicembre 2014, nei rapporti tra Berlino e Atene, da una parte c’era stata l’ideologia dell’austerity (Berlino), dall’altra l’incompetenza anti riformatrice (Atene); negli ultimi sei mesi, all’ideologia di una parte (Berlino) avrebbero fatto da pendant ideologia e incompetenza dell’altra (Atene).

 

[**Video_box_2**]E quindi è possibile che l’arma del referendum abbia ferito chi l’impugnava per spaventare un altro po’ l’interlocutore. La politica ideologica però resta, al centro. Lo dimostra quella minoranza di Syriza da sempre fautrice del Grexit come antipasto caotico da trangugiare per promuovere la rivoluzione in patria. Lo sussurra l’ex ministro socialista Papaconstantinou, quando sul New York Times scrive che mezzi pubblici gratis e poliziotti davanti alle banche sanno di golpe, più che di culla della democrazia. Lo ha bisbigliato al Foglio un alto dirigente di una banca americana che, leggendo la richiesta di Tsipras di rinviare le riforme più importanti all’autunno, assicura: in Syriza già se ne parla, questo è il tentativo deliberato di creare un cortocircuito con la campagna elettorale spagnola e la possibile ribalta di Podemos che ci sarà allora. Perché se il Grexit è un piano politico, pure il contagio lo dev’essere. Altro che spread.