L'economista Thomas Piketty

Tra virgolette - Wall Street Journal

Così la “diseguaglianza” ha conquistato i salotti occidentali

Redazione
L’ultimo rapporto Ocse sul tema è un capolavoro di cherry picking che mistifica la verità per piacere a Piketty & Co., scrive Matthew Schoenefeld (Driehaus Capital). Chi fa più debito cresce meno, vedi il confronto tra Grecia e Cile. Il problema europeo sta nella tecnologia.

Dal 2011 al 2013 i cinque paesi che hanno il maggior livello di diseguaglianza sono quelli che sono cresciuti cinque volte più velocemente degli altri. Così sul Wall Street Journal Matthew Schoenefeld, analista della boutique di investimento americana Driehaus Capital Management, confuta l’ultima ricerca dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse) sul rapporto tra crescita e diseguaglianza, e i metodi di indagine dell’istituto con base a Parigi. Titolo: il nesso tra diseguaglianza di reddito e bassa crescita è un mito. Ciò non piacerà ai seguaci dell’economista francese Thomas Piketty. E nemmeno all’Ocse che nel rapporto “In it together: why less inequality benefits all” fa infatti emergere la tesi opposta, affermando che l’aumento della diseguaglianza di reddito dal 1990 al 2010 ha ridotto la crescita cumulata nei 34 paesi membri del 4,7 per cento. La soluzione suggerita dall’Ocse per redistribuire ricchezza è un aumento delle tasse sui “più abbienti” e sulle “società multinazionali”; una patrimoniale à la Piketty. “Il rapporto – dice Schoenfeld – ha avuto ampio risalto sulla stampa, le sue conclusioni combaciano con il comune sentire dei leader progressisti, ma  è fuorviante come i risultati cui giunge”.

 

Dal 2000 al 2001 molti dei paesi Ocse hanno infatti sostenuto la crescita attraverso programmi sociali espansivi, indebitandosi. Non solo. I cinque paesi più “diseguali” nel rapporto – Israele, Stati Uniti, Turchia, Messico e Cile – hanno evitato di farlo. Hanno aumentato il debito in media del 3 per cento contro il 40 per cento degli altri paesi Ocse. “Quando la pressione dell’austerità ha interessato i paesi con alto debito negli ultimi anni, inoltre, i paesi meno indebitati – che non necessariamente sono i più egualitari – sono cresciuti molto più velocemente dei loro simili. Dal 2011 al 2013, secondo la Banca mondiale, i cinque paesi più diseguali sono cresciuti quasi cinque volte in più (3,9 per cento su una media annuale) degli altri (0,84 per cento). Quindi fermando le sue analisi al 2010 l’Ocse ha distorto le sue conclusioni”, accusa Schonefeld.

 

Prendiamo la Grecia. “Dal 1999 al 2012 il suo coefficiente di Gini – dove 0 rappresenta l’uguaglianza completa e 1 rappresenta una società in cui una sola persona ha tutto il reddito – è migliorato del 6 per cento (a 0,36 da 0,34 punti); più di qualsiasi altro paese Ocse. La redistribuzione della spesa sociale è anch’essa cresciuta più degli altri paesi comparabili dal 2000 al 2012. Ma la crescita dell’economia greca è crollata del 20 per cento e più dal 2010  (dati World bank), e oggi più di un terzo dei cittadini sono considerati a rischio povertà (dice Eurostat)”. Veniamo al Cile. “Ha il tasso di crescita più elevato in una media annua sul decennio, del 4 per cento, ma è anche il paese Ocse più diseguale con un coefficiente di Gini di 0,5. Nonostante sia il penultimo paese Ocse per i trasferimenti sociali e  spesa pubblica (il Messico è il più basso), il tasso di povertà del Cile è sceso del 6 per cento dal 2007 al 2011 (dati Ocse). Questa è la più grande riduzione nel periodo considerato tra i paesi analizzati”.

 

Perciò, dice Schoenefeld, quando l’Ocse afferma che la “la redistribuzione è, nel peggiore dei casi, neutrale per la crescita”, dice una cosa molto discutibile.  “In sostanza – aggiunge – concentra la sua analisi sul fatto se ridurre o meno le tasse sul reddito per ridurre la ‘diseguaglianza netta’ (la diseguaglianza temperata dalla redistribuzione generata dall’aumento delle imposte) colpisca la crescita. Questa misura della diseguaglianza è ingannevole. Ignora le prestazioni in natura come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’alloggio pubblico. Inoltre non valuta l’impatto di altre forme di tassazione come l’imposta sul valore aggiunto. All’interno dell’area Ocse, l’Iva e altre imposte simili sui beni e servizi contano per una grossa fetta delle entrate fiscali (33 per cento) rispetto alle imposte sul reddito delle persone fisiche (25 per cento). Di conseguenza, il tasso di imposta sul reddito è una proxy scadente per la politica di redistribuzione. Un proxy più rappresentativa è la spesa pubblica in percentuale al pil, che comprende tutte le spese del governo sulla fornitura di beni, servizi, sussidi e benefici sociali. Dal 1995-2012, i paesi Ocse che hanno aumentato la spesa pubblica in percentuale del pil sono cresciuti a un tasso più lento del 30 per cento rispetto a quelli che l’hanno limata nella stessa proporzione. Una crescita media annua dell’1,9 per i primi contro il 2,5 per cento dei secondi”.

 

[**Video_box_2**]I dati sono ancor più significativi negli ultimi anni. “Nei paesi Ocse che hanno aumentato la spesa pubblica dal 2009-12 l’economia si è contratta in media del 1,3 per cento l’anno; i paesi che hanno tagliato la spesa sono cresciuti in media del 0,9 per cento l’anno”. Se i paesi più colpiti dalla crisi erano più bisognosi di spesa pubblica per ravvivare l’economia avrebbero dovuto sperimentare una flessione della crescita più netta. Non è vero questo. Nei paesi Ocse che hanno aumentato la spesa (2009-’12) la crescita nel 2012 è stata in media migliore del 3,2 per cento rispetto al 2009. Nei paesi che hanno optato per meno spesa è stata del 4,9 in più. “Il punto non è che la diseguaglianza è un bene per la crescita – avverte Schoenefeld – ma che qualsiasi analisi passatista della crescita è implicitamente viziata perché le economie cambiano nel tempo”. La tecnologia è la chiave di tutto: produrrà vincitori grandi e vinti. “E mentre i membri europei dell’Ocse sono stati molto più egualitari rispetto ai loro ‘colleghi’ d’oltreoceano, sono stati anche molto meno innovativi. L’Europa non ha ancora prodotto una società privata di internet che da sola abbia un valore superiore a 10 miliardi a confronto degli Stati Uniti che hanno messo in piedi start up che valgono più di 10 miliardi di dollari. Forse il tempo all’Ocse sarebbe speso meglio se si studiasse la creazione della ricchezza a partire da questo nuovo panorama anziché valutare la redistribuzione su schemi passati”, chiosa Schoenefeld.