Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Antitrust (Foto LaPresse)

Altro che gogna. La corruzione si batte con più concorrenza, dice Pitruzzella

Renzo Rosati
Per il capo dell’antitrust vuole ridurre la burocrazia e l’intervento pubblico e discrezionale nell'economia, difendere la certezza del diritto, far funzionare il libero mercato, sono i “migliori antidoti” anche contro la corruzione.

Roma. Occhio alle parole, alla loro logica e gerarchia. “I principali antidoti per combattere il diffondersi della corruzione, vera e propria tassa occulta per il sistema economico, sono una concorrenza effettiva, la certezza del diritto e la sburocratizzazione, in modo tale da ridurre i margini di discrezionalità degli interventi nella sfera economica”. Firmato Giovanni Pitruzzella, presidente dell’autorità Antitrust, che giovedì a Montecitorio ha presentato la relazione annuale sul 2014. Questo, alla decima delle 19 cartelle lette di fronte, tra gli altri, al capo dello stato e ai presidenti delle Camere. Molto prima, a pagina quattro, il numero uno dell’Antitrust aveva elencato in questo ordine perché preservare la concorrenza in Italia nel contesto europeo: “In primo luogo stimola l’innovazione che è il principale motore della crescita”; “inoltre impedisce il proliferare delle rendite ricercate da quegli attori economici che invece della competizione basata sui meriti, fanno leva sul rapporto col potere pubblico per ottenere privilegi”; “la rendita non crea nuova ricchezza, ma sottrae dal sistema una quota di risorse”; e “il corretto funzionamento concorrenziale del mercato rappresenta, peraltro, uno degli strumenti più efficaci per ostacolare il diffondersi della corruzione, pervasivo cancro dell'economia”. Ora, e senza peccare di malizia, c’è da ritenere che la sintesi di molti e blasonati media sarà incentrata sulla “corruzione cancro dell'economia”. Che lo sia, ne è ovviamente convinto anche Pitruzzella. Sennonché il capo dell’Antitrust inverte l’ordine della cause e degli effetti: ridurre la burocrazia e l’intervento pubblico e discrezionale nell'economia, difendere la certezza del diritto, far funzionare il libero mercato, sono i “migliori antidoti” anche contro la corruzione. Dunque nessun ridondante cedimento al mood vagamente giustizialista e semplificatorio che un po' imperversa anche in èra Renzi; mood che ribaltando appunto cause ed effetti dissemina le amministrazioni pubbliche (e non solo) di commissari, assessori e delegati vari alla legalità, di codici etici, su su fino allo zar nazionale Raffaele Cantone.

 

Il presidente dell’Antitrust ha certo ricordato i meriti dell’Anac di Cantone, ma è sembrato prendere le distanze dal suo effetto non voluto e controproducente: il cantonismo. Meno livelli burocratici, più merito, briglie lunghe al mercato (senza ovviamente posizioni dominanti) e nessuna richiesta di leggi e strumenti d'emergenza: queste le cose da fare. Soprattutto in un paese dove – come documenta anche il saggio appena uscito “La rivoluzione incompiuta, 25 anni di Antitrust in Italia” di Alberto Pera e Marco Cecchini (Fazi Editore), di cui parla Francesco Forte qui sotto – sempre più poteri sono stati delegati, a partire dalla riforma ulivista del 2001 del titolo quinto della Costituzione, ai poteri locali, non solo regionali, alle loro burocrazie e “stazioni appaltanti”. Per questo motivo, che d’altra parte è anche testimoniato dalle 8 mila aziende pubbliche locali censite anche dall’ultimo e non molto fortunato incaricato alla revisione della spesa pubblica Carlo Cottarelli, la concorrenza come tutela del mercato e dei consumatori, si difende eliminando strati di burocrazia e interventismo, non aumentandoli. Così pare pensarla Pitruzzella, in continuità del resto con il suo predecessore Antonio Catricalà (e per Pera e Cecchini non è casuale che i loro due mandati siano susseguenti al moltiplicarsi dei potentati locali), mentre le prime autorità Antitrust si focalizzarono soprattutto sui rischi di concentrazione.

 

Le rendite di posizione naturalmente non sfuggono a Pitruzzella, che cita in particolare poste, telecomunicazioni, energia e banche. Ma, come ha notato anche l’ex numero uno di Eni e Telecom Franco Bernabè in un’intervista a Radio 24, “l’Antitrust europeo si preoccupa più di frantumare le grandi concentrazioni, il che spesso coincide con una difesa un po’ di retroguardia degli interessi dei 28 paesi; quello italiano oggi deve vedersela con la pervasività del settore pubblico”.

 

[**Video_box_2**]Se “per rilanciare la crescita l’Italia ha bisogno che si spinga sia sulle politiche di contesto sia sulle politiche dei fattori di produzione”, come ha detto giovedì al Foglio Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, allora il disegno di legge del governo sulle liberalizzazioni – che in Parlamento è già oggetto dei molteplici veti delle lobby – e i consigli di Pitruzzella potrebbero essere un buon punto d’inizio per non impantanarsi.