Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Così Renzi è tornato indietro sulle sue promesse liberiste

Alberto Brambilla
Tra strattoni in Cassa Depositi, blitz su Telecom e colpi alla concorrenza, si fa presto a intimorire gli investitori

Roma. Quando Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze, lanciò la sua candidatura alle primarie del Partito democratico, sfidando il conservatorismo di Pier Luigi Bersani, promise di dimostrare al mondo che le politiche liberiste, ovvero un grado minimo di interventismo pubblico accompagnato da un dimagrimento del peso dello stato in economia, non avevano distrutto l’Italia e l’Europa semmai avrebbero potuto rappresentare la via maestra per guadagnare punti di pil. “Le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore”, disse nel giugno 2012. Dopo un anno e mezzo al timone del governo e del Partito democratico, quelle promesse barcollano, insinuando parecchi dubbi sulla loro concretezza agli occhi degli investitori.

 

In questi mesi si sta assistendo alla fase più acuta dell’interventismo renziano. Il premier e il suo consigliere economico Andrea Guerra, ex ad di Luxottica, hanno fatto irruzione nella cristalleria bancaria della Cassa depositi e prestiti (Cdp) con l’intenzione di rimuovere i vertici in anticipo di un anno rispetto alla scadenza del mandato e di modificarne la missione al fine di usare in misura maggiore i risparmi postali che gestisce per aggiustare periclitanti situazioni aziendali d’interesse dell’esecutivo, vedi l’esangue acciaieria Ilva di Taranto. Le controindicazioni comunque abbondano, a cominciare dalla necessità di modificare lo statuto per potere effettuare soccorsi delicati dagli esiti incerti, senza contare che la Cdp non è una cornucopia dato che i 173 miliardi di risparmi postali sono depositati presso il conto di Tesoreria dello stato e impiegarne una quota significa emettere debito per pari entità. Tuttavia il presidente Franco Bassanini e l’ad Giovanni Gorno Tempini sono stati accompagnati all’uscita da indiscrezioni pubblicate sui giornali, pare, per il fatto di non aver assecondato a sufficienza con la Cassa gli obiettivi renziani. Il ribaltone era atteso ieri in occasione del cda straordinario ma non si è verificato. La Cdp ha ufficialmente comunicato di avere approvato l’investimento di 1 miliardo di euro nel fondo istituito dal governo per attrarre capitali pubblici e privati da dedicare alla ristrutturazione di aziende che soffrono squilibri finanziari ma che hanno dalle prospettive industriali; cosa resa possibile da precedenti modifiche statutarie già abbondanti vista la tradizionale cautela della Cdp. S’adombrano resistenze da parte delle fondazioni bancarie che, in quanto azioniste di minoranza della Cdp, hanno il diritto di indicare un presidente loro gradito. Clausola che tiene in sella Bassanini, per il momento. Un cambiamento ci sarà: “Gli attuali vertici hanno fatto un buon lavoro – ha detto ieri Renzi – ma dobbiamo per forza nominare cinque persone nuove, per motivi tecnici, e questo fa decadere cda, pensiamo a interventi per fare Cdp più forte nelle partite del paese”. Le resistenze non stupiscono. Come ha scritto Andrea Tavecchio sul Foglio, “in nome delle risorse della Cdp non si può venire meno alla regola aurea per essere considerati affidabili. Bisogna rispettare la ‘Rule of Law’”. Ovvero non si possono cambiare le regole in corsa, come in questo caso, superando le fondazioni bancarie che quindi tendono a frenare. Le stesse obiezioni potrebbe sollevarle un eventuale altro investitore, giacché la Cdp investe in società quotate.

 

[**Video_box_2**]Forzature muscolari del genere sembrano tuttavia diventate la cifra dell’interventismo pubblico dell’èra renziana. Enel, società elettrica del ministero dell’Economia, verrebbe usata come strumento per assicurare massima copertura nazionale all’internet veloce con la banda ultralarga in diretta concorrenza con gli operatori privati Telecom Italia e Fastweb che avevano programmato, a loro volta, investimenti sul settore usando tecnologie differenti da quelle volute dal governo. Al di là delle difficoltà operative, è parsa una vendetta verso Telecom, che aveva chiuso le trattative per collaborare con Metroweb, società della rete della Cdp, con l’effetto di pesare sul titolo della compagnia telefonica in Borsa. L’idea avanzata in precedenza da uno dei consiglieri economici dell’esecutivo, Vincenzo Tiscar, di arrivare allo spegnimento d’imperio della rete in rame, l’asset di valore di Telecom, aveva affossato il titolo del 5 per cento circa. Senza contare che furono proprio le esternazioni di Bassanini circa il valore della rete a motivare un esposto alla Consob da parte di Telecom.

 

A scoraggiare gli operatori di mercato s’aggiunge l’iniziativa, presa dal Consiglio dei ministri la settimana scorsa, di depotenziare la neonata Autorità dei Trasporti in ambito ferroviario. Nel recepire una direttiva europea sulla concorrenza nel settore, l’Italia ha approfittato dell’occasione per aumentare la forza del monopolista pubblico, Ferrovie dello Stato, limitando l’indipendenza dell’Autorità riguardo la fissazione del canone d’affitto della rete ferroviaria per gli operatori privati, prerogativa ora affidata allo stato, e riducendo al contempo il suo potere sanzionatorio. Nel decreto legislativo che recepisce la direttiva comunitaria si contraddice lo spirito della direttiva stessa. Avere svilito l’Autorità, presieduta dal bersaniano Andrea Camanzi, può essere funzionale a ridurre al massimo il  rischio regolatorio per Fs e quindi rendere più facile la sua annunciata quotazione in Borsa. Tuttavia, come segnalava ieri Salvatore Rebecchini, componente del collegio Antitrust, il rischio di indebolire la funzione di garanzia dell’Authority è un colpo alla competitività del paese visto che in questi mesi si stanno avviando le gare per individuare i gestori delle reti locali in Piemonte, Veneto, Friuli ed Emilia Romagna. Per puntare a incassare al massimo cinque miliardi dalla quotazione parziale di Fs, difendendo il suo monopolio, si vogliono dunque ripudiare centinaia di milioni di investimenti esteri sul settore offrendo un’immagine discutibile all’estero? L’Autorità rappresenta una garanzia dalle aggressioni del monopolista per i privati sia nell’alta velocità, Nuovo trasporto viaggiatori, sia nel trasporto locale, la tedesca Arriva-Deutsche Bahn, terzo player su gomma in Italia. Cambiare regole chiare sostituendole con regole grigie non incoraggerà altri a partecipare ai bandi, penalizza la contendibilità del mercato, alimenta il rischio di ricorsi legali e a rimetterci sono milioni di utenti che potrebbero ambire a servizi migliori.

 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.