L'Italia è diventata primatista sulle tasse sulla casa. Chi ricorda oggi di "adeguarsi all'Europa"?

Marco Valerio Lo Prete
In queste ore gli italiani verseranno circa 12 miliardi di euro di tasse, tra Tasi e Imu sulle case di proprietà e non solo. Quanto tempo (e gettito) è passato da quando Monti diceva che in Italia la tassazione patrimoniale era più bassa che in Europa. Ora l'Ocse racconta un'altra storia

    Ieri è andata in onda, come ogni lunedì, la puntata di "Oikonomia" su Radio Radicale. Qui potete trovare l'audio, di seguito invece il testo.

     

    Oggi, martedì 16 giugno, scatta quello che la stampa e le autorità pubbliche hanno finora chiamato con un eufemismo "Tax day", cioè il giorno in cui gli italiani pagheranno tra le altre cose un acconto per le tasse gravanti sui loro immobili. Secondo le previsioni della Uil, 25 milioni di proprietari di immobili, fra cui 19,7 milioni proprietari di prima casa, nel giro di poche ore verseranno nelle casse dello Stato 12 miliardi di euro tra Imu (Imposta municipale propria) e Tasi (tassa sui servizi indivisibili), di cui 1,8 miliardi solo per la Tasi che grava sulla prima casa.

     

    La tassazione sulla proprietà immobiliare, in Italia, è stata al centro di varie polemiche politiche negli ultimi anni. E anche per questo ha subìto mutazioni tanto repentine da ingenerare confusione pure nel contribuente. L'Imposta comunale sugli immobili (o Ici) fu introdotta nel 1993 e divenne una delle entrate più importanti per i Comuni italiani; nel 2008 il governo Berlusconi l'abolì del tutto sulla prima casa, lasciandola gravare soltanto sulle abitazioni di lusso. Nel 2011 lo stesso governo Berlusconi introdusse l'Imu, o Imposta municipale propria, che sarebbe entrata in vigore nel 2014; nell'inverno dello stesso anno, con l'Italia al centro del ciclone finanziario, il governo tecnico di Mario Monti anticipò l'applicazione dell'Imu al 2012 e la estese alle abitazioni principali. Monti allora, anche per giustificare la misura che comunque era concepita pure per generare gettito e subito, disse: "Tra i principali Paesi europei, l'Italia è caratterizzata da una imposizione sulla proprietà immobiliare che risulta al confronto particolarmente bassa".

     

    Aveva ragione? E oggi, dopo quegli aumenti decisi dal governo Monti, e mai effettivamente cancellati dai successivi governi Letta e Renzi, a che punto siamo? Un modo semplice per valutare è quello di studiare l'andamento del gettito, cioè dell'incasso per lo Stato, generato dalle imposte di natura "patrimoniale" sulla casa. Fino al 2011, il gettito di quella che allora era chiamata ICI, era di circa 9 miliardi di euro. Nel 2011, il Governo Monti ha introdotto l'Imu, anche sulla prima casa, e lo Stato  nel 2012 ha incassato 23,8 miliardi di euro secondo la stessa Agenzia delle Entrate. Nel 2013 il gettito è stato di 20,4 miliardi di euro, in lieve flessione dunque, mentre nel 2014 il gettito di Imu e Tasi è stato di oltre 24 miliardi di euro. Le tasse di natura patrimoniale sugli immobili sono passate dunque da un valore di oltre 9 miliardi nel 2011 a oltre 24 miliardi lo scorso anno.

     

    Vediamo il confronto internazionale; nel 2009 il gettito delle imposte patrimoniali sugli immobili era pari allo 0,6% del pil italiano; nei paesi dell'area Ocse, cioè quelli maggiormente sviluppati, era di poco superiore all'1%, quindi effettivamente nel nostro paese c'era una tassazione più lieve, come sosteneva Monti. Poi però la media dei paesi Ocse è rimasta sempre attorno all'1% del gettito, mentre nel 2012 le imposte patrimoniali italiane sono salite alla cifra record dell'1,47% del pil, quindi nel 2013 all'1,25% del pil, sempre più del doppio. La stessa Ocse oggi rileva che la tassazione patrimoniale sugli immobili nell'Unione europea è sotto l'1% e che l'Italia ha superato quella soglia non di poco. Tutto farebbe pensare che presto si torneranno a sentire i non pochi che nel 2011 predicavano un "riallineamento" della nostra tassazione a livelli europei. 

     

     

    Gli effetti di una tale pressione fiscale non possono che essere negativi, considerato che d’altronde essa disincentiva le compravendite di immobili come se non bastasse già il disincentivo costituito dal calo dei redditi, e ha tutta una serie di altre conseguenze che per brevità non elencheremo. Quello che non deve sfuggire, e che certo non sfuggirà a chi domani verserà il primo acconto d'imposta, è che la tassazione patrimoniale sulle abitazioni non è nemmeno l'unica forma di tassazione che grava sui nostri immobili. Vanno considerate anche le imposte di natura reddituale (Irpef e Ires il cui presupposto è il reddito prodotto dalla proprietà o dal possesso del bene); le imposte sui servizi pubblici (come la Tasi), le imposte sul trasferimento degli immobili a titolo oneroso (Iva, registro, ipotecaria, catastale); quelle sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito (successioni); quelle sulle locazioni. Sommando tutto, secondo il think tank Impresa Lavoro, nel 2014 per la prima volta il gettito fiscale che entra nelle casse dello Stato grazie agli immobili dei residenti italiani ha superato quota 50 miliardi di euro.

     

    Una semplificazione di questo regime fiscale sarebbe utile. E soprattutto è urgente una sua razionalizzazione. Per fare un esempio, è sintomatico il fatto che in Italia la fiscalità oramai assimili l'investimento in una seconda casa all'acquisto di un "immobile di lusso", cioè in uno spreco, incidendo negativamente pure sul mercato degli affitti. Come pure è palesemente sbagliato che la base imponibile della TASI, cioè la Tassa sui servizi indivisibili che tutti i proprietari di casa pagano, sia la stessa base imponibile dell'IMU, cioè la rendita catastale moltiplicata per un certo coefficiente. Altro che servizi per l'abitazione, è un'imposta patrimoniale e lo Stato non si preoccupa nemmeno di camuffarla. Ancora una volta è legittimo chiedersi chi, nel 2015, farà appello a un adeguamento del nostro paese agli standard europei di tassazione sugli immobili.