Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis (foto LaPresse)

Grecia, una trattativa allunga la vita

Elena Bonanni
Con Atene barcolla pure Bretton Woods. Parla lo storico del Fmi. Dei progressi ci sono, ma ancora non si è trovata la quadra tra la Grecia e i creditori internazionali. Ieri in serata si sono diffuse le voci di un documento comune preparato dalla Troika per chiudere il negoziato.

Trento. Dei progressi ci sono, ma ancora non si è trovata la quadra tra la Grecia e i creditori internazionali. Ieri in serata si sono diffuse le voci di un documento comune preparato dalla Troika – composta da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – per chiudere il negoziato. Bruxelles ha precisato che “sono stati fatti progressi, ma ancora non ci siamo”. Ieri il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, si è mostrato più ottimista (“penso che un accordo ci sarà presto”), ma non ha ritenuto di escludere scenari estremi (“la Grexit è possibile ma la vera domanda è se è auspicabile”). Certo è che il 5 giugno Atene dovrà rimborsare circa 300 milioni di euro al Fmi e non è chiaro se sarà in grado di farlo. La Bundesbank si è detta preoccupata per la situazione delle banche che hanno a disposizione “pochissimo tempo”. Dal canto suo, sul Monde del fine settimana, il premier ellenico Alexis Tsipras si è scagliato contro le “soluzioni irragionevoli” su cui insistono alcuni rappresentanti istituzionali: “Se non siamo ancora arrivati a un accordo con i nostri partner, non è a causa della nostra intransigenza, né delle posizioni incomprensibili da parte greca”. Eppure ieri una rivolta interna al partito del premier, la coalizione di sinistra radicale Syriza, ha spinto il leader senza cravatta a tornare indietro sulla nomina di Elena Panaritis come rappresentante del paese presso il Fmi. L’economista, molto apprezzata a Washington, secondo 40 deputati di Syriza sarebbe colpevole di avere votato a favore di alcune misure di austerity nel 2010, quando era deputata socialista. Per Tsipras, comunque, qualsiasi decisione sul futuro del paese deve essere nelle “mani dei leader europei” e non di istituzioni che non sono elette.

 

Non che queste ultime, vedi per esempio lo stesso Fmi, si trovino oggi in una situazione molto più facile per il solo fatto di vestire i panni dei creditori. Per James M. Boughton, senior fellow del Centre for International Governance Innovation (Cigi) in Canada, “l’errore più grave del Fmi” sulla Grecia è stato di “lasciarsi coinvolgere all’interno della Troika formata assieme a Ue e Bce, perché il ruolo di guida è assegnato all’Europa”. Boughton è un osservatore privilegiato, è stato lo storico ufficiale del Fondo monetario internazionale dal 1992 al 2012, l’unico per cui fossero accessibili archivi e documenti classificati dell’organizzazione nata a Bretton Woods, e dal 2001 al 2010 ha anche lavorato come alto dirigente dello Strategy, policy, and review department del Fondo. “Il compito del Fmi nel 2010 era di risolvere la crisi greca: aveva le risorse e l’autorità per determinare il tipo di policy necessarie. Ma se il Fmi avesse agito come al suo solito, all’Europa la risposta non sarebbe piaciuta perché avrebbe significato una profonda ristrutturazione del debito pubblico greco”, dice al Foglio a margine di una lecture tenuta al Festival dell’Economia di Trento. “Quindi quello che abbiamo avuto è stata una situazione dettata dall’Europa che aveva la maggioranza nella Troika”, dice. Con il piccolo ma decisivo dettaglio che “la missione di Bruxelles non è il welfare mondiale né la crescita del benessere, bensì la sopravvivenza dell’euro”. Insomma, il Fmi si è trovato “intrappolato” nella Troika. Non a caso di recente ha già dato segnali di volersi sfilare. “Ora la natura della Troika sta cambiando e il Fmi sta tentando di uscire da questa situazione – spiega Boughton – Sta provando a ristabilire il suo ruolo ‘di sistema’. A mio parere nel prossimo anno il Fmi cercherà di influenzare di più la situazione e non solamente di essere parte di un terzetto”. Tirarsi fuori dal balletto greco-tedesco-comunitario non sarà esercizio semplice. “E’ difficile perché oggi il patto è quello di parlare con una voce unica”. Non solo. A sua volta l’Europa è un’importante voce del Fmi: il direttore generale, oggi Christine Lagarde, è europeo e il 30 per cento dei voti viene dall’Europa. “La vicenda greca dimostra come nel lungo periodo – conclude Boughton – l’obiettivo debba essere quello di avere un direttore generale non europeo”.

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