Il deal Verizon-Aol. Nell'Eldorado delle Tlc c'è zero stato interventista

Franco Debenedetti
Ben scavato, vecchia talpa!”, dicevano una volta i compagni. Adesso il comunismo è morto, e neanche la talpa si sente più tanto bene. Viene in mente leggendo che Enel, municipalizzate, Terna, alla notizia che Matteo Renzi è disposto a mettere soldi pubblici per dare a tutti gli italiani la banda lar

Ben scavato, vecchia talpa!”, dicevano una volta i compagni. Adesso il comunismo è morto, e neanche la talpa si sente più tanto bene. Viene in mente leggendo che Enel, municipalizzate, Terna, alla notizia che Matteo Renzi è disposto a mettere soldi pubblici per dare a tutti gli italiani la banda larghissima, si son fatti avanti per dare una mano al premier per vincere la cocciutaggine di Telecom Italia. Tutti telefonisti? Manco per sogno, tutte talpe, tutti scavatori di cunicoli per i loro cavi dell’energia elettrica. Farci passare anche la fibra non costa molto, e con un po’ di soldi dal governo, un po’ da Telecom che dovrà connetterla alla sua rete, ci si può cavare la giornata: e far contento il governo.

 

Mentre da noi si pensa a scavare per trovare le monete di Pinocchio, negli Stati Uniti Verizon annuncia di avere speso 4,4 miliardi di dollari per comprare Aol. Negli anni 90, Aol era leader delle connessioni col modem, Aol mail ha ancora una buona base clienti, anche da noi. Al culmine della bolla internet, Aol era stata comprata per una somma folle da Time Warner. Adesso ha 4.000 dipendenti, quello che resta del business di connettività, Huffington Post che aveva comprato dalla fondatrice. Ma soprattutto ha una piattaforma digitale con cui è il quarto operatore negli Stati Uniti nella pubblicità online su video, con vendite aumentate dell’80 per cento in un anno. E’ questo che interessa a Verizon, che già lo scorso anno aveva comprato da Intel una piattaforma per il nuovo business dei video digitali. Questa è la terra promessa, il mercato dell’advertising sul mobile. Questo è l’obiettivo verso cui corrono Google e Facebook (quest’ultima con maggiore efficacia). Verizon, che serve circa un terzo degli utenti di telefonia mobile negli Stati Uniti, pensa di potersela giocare bene: rispetto a Google e Facebook parte con un grosso vantaggio, conosce i suoi clienti uno per uno. Dato che sono abbonati al mobile, gli spedisce le fatture, ha quindi informazioni dettagliate su di loro, sa chi sono, dove abitano. Informazioni preziose per chi vende pubblicità, e di cui non dispongono gli operatori come Google e Facebook.

 

E’ iniziata la battaglia per attirare e indirizzare l’attenzione di chi naviga su internet in mobilità. I video costituiscono già il 55 per cento del traffico mobile, e diventeranno il 72 per cento nel 2019. Quali saranno le armi decisive, chi uscirà vincitore, come si divideranno i profitti? Anche le nostre aziende sono interessate a sapere come si orienterà il mercato, quali saranno le scelte dei clienti. Nel 2019 la percentuale di chi si connette via smartphone raggiungerà quella di chi usa internet (70 per cento della popolazione adulta); oggi, gli utenti online sono 3 miliardi contro 2 su smartphone, nel 2020 saranno pari, 4 e 4. Per Facebook la pubblicità sul mobile è quasi 4 volte quella su computer, e quindi nello stesso rapporto sono gli utenti. Se queste sono le previsioni negli Stati Uniti, figurarsi da noi dove gli utenti in mobilità e quelli su linea fissa sono già quasi alla pari: come è noto l’Italia è da anni uno dei paesi a maggiore penetrazione di telefoni cellulari, mentre siamo (o meglio eravamo nel 2011) i fanalini di coda quanto a computer domestici, con il 67 per cento, ovvero dieci punti in meno rispetto alla media dell’Unione europea a 27. Pochi computer perché poche connessioni a banda larga, o poche connessioni perché pochi computer?

 

[**Video_box_2**]Verizon è (quasi) solo nel mobile, mentre in Europa ci sono operatori integrati fisso/mobile, come Telecom Italia: per loro ha senso un mix tecnologico. Logico quindi investire sulla connettività fissa, potenziando le prestazioni e aumentando la copertura, logico darsi obiettivi precisi; ben vengano anche l’enfasi e l’insistenza che hanno fatto diventare questo un argomento caldo di discussione, se sono servite a smuovere le acque e a mobilitare risorse. Ma la notizia dell’integrazione tra il leader americano del mobile e l’ex campione del fisso ci dà due lezioni: la prima è che la pubblicità sul mobile è “the name of the game”, lì è il grande valore aggiunto, e se oggi lo “mangiano” solo Google e Facebook, potrebbe esserci un ruolo per i carrier di rete ambiziosi. La seconda è di carattere generale: quanto a capacità di vedere lontano, di scoprire soluzioni, tra mercato e stato pianificatore non c’è partita. Se si lascia funzionare il mercato, senza preclusioni ideologiche né preferenze nazionalistiche, senza quote di proprietà dello stato scritte nella pietra degli statuti come le leggi dei Medi e dei Persiani, si risolvono anche i problemi del finanziamento. Se un progetto rende, non c’è bisogno di complicati piani europei per realizzarlo.
Il mercato vede lontano, la talpa non è particolarmente famosa per la sua vista.

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