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Perché dopo la vittoria di Cameron tutti gli intellettuali conservatori gridano "federalismo!"

Lorenzo Castellani

I custodi dei valori del conservatorismo britannico, dopo la straripante vittoria del 7 maggio scorso, spingono sulla devolution invocando un'accelerazione del processo federale e di conseguenza una corposa riforma istituzionale. Una ricognizione ragionata tra i think tank e i pensatori filo-conservatori.

Che i custodi dei valori del conservatorismo britannico, dopo la straripante vittoria del 7 maggio scorso, spingano sulla devolution può sembrare paradossale non solo perché il Regno Unito è da sempre considerato lo stato più centralizzato al mondo, ma anche perché fino a meno di un decennio fa la devolution era considerata una politica laburista, un indebolimento della centralità nel modello Westminster-Whitehall che i conservatori inglesi hanno sempre visto con sospetto.  E’ la storia britannica contemporanea a testimoniarlo: Margaret Thatcher centralizzò il potere nei ministeri di Londra rispetto a regioni e local government, la stessa linea venne mantenuta da John Major.

 

Eppure, nel post elezioni a suonare la carica pro federalismo sono stati proprio i più influenti editorialisti del mondo Tory, gli stessi che avevano caldeggiato la concessione del referendum per l’indipendenza pur non supportandola. Da un lato Daniel Hannan, parlamentare europeo, convinto sostenitore dell’austerità, saggista ed editorialista di molteplici giornali d’area conservatrice, ha rotto gli indugi sulla nuova testata on-line CapX.com, magazine prodotto dal Center for Policies Studies che promuove il "popular capitalism", suggerendo a David Cameron, considerata la forza acquisita dallo Scottish National Party, di accelerare immediatamente il processo federale nel Regno Unito concedendo come primo atto di governo la devolution fiscale alla Scozia. Il ragionamento di Hannan è americano: diverse aree del paese esprimono sensibilità del tutto antitetiche sulla politica economica con l’Inghilterra che chiede di proseguire con la rigidità nei conti pubblici proposta dai Tories e la Scozia che domanda un sostegno più robusto al welfare state, considerato che si tratta due stati diversi, separati sia geograficamente che politicamente, è tempo di dare alla Scozia una maggiore autonomia nella gestione del bilancio e, di conseguenza, una maggiore responsabilità in materia fiscale.

 

Al Regno, e quindi al Parlamento di Westminster, resterebbe la sovranità solo sulle oramai poche materie comuni. Secondo Hannan la devolution metterebbe tutti d’accordo poiché i cittadini inglesi ne guadagnerebbero un probabile alleggerimento fiscale venendo meno il peso “statale” della Scozia e gli scozzesi che hanno votato massicciamente per un partito indipendentista avrebbero maggiori poteri trasferiti ad Edimburgo. Un meccanismo che disinnescherebbe spinte separatiste che sembrano sempre più incontenibili. Ancora oltre va il think tank Conservative Home che in un editoriale firmato Paul Goodman dal titolo evocativo “Now we have power. We must use it” suggerisce lo smembramento del Regno Unito: quattro nazioni, quattro parlamenti autonomi, quattro governi diversi.

 

L’idea è una riforma che, dalle prossime elezioni generali, permetta di scegliere un first minister inglese oltre che un prime minister per tutto il Regno Unito. Così Westminster diventerebbe molto più simile al Congresso americano cioè composto da rappresentati di tutti gli stati e con competenze solamente federali. Il primo ministro diventerebbe una figura simile a quella del Presidente americano con poteri di governo limitati alle materie federali. Il tutto sigillato da una nuova Costituzione scritta. A queste idee funge da cassa di risonanza lo Spectator, il più influente settimanale conservatore del mondo anglo-sassone, dove Alex Massie scrive “the United Kingdom will never be the same again” e, aggiunge, potrebbe essere una notizia positiva perché il cambiamento prodotto da queste elezioni potrebbe salvare l’Unione stessa. Infatti, chiosa l’editorialista di The Spectator, è necessario un riequilibrio dei poteri costituzionali all’interno del Regno Unito.

 

[**Video_box_2**]Tutto il mondo della cultura conservatrice si è convertito al federalismo, nelle trasformazioni della politica britannica Thomas Jefferson ritrova posto tra gli scaffali della vecchia Inghilterra, il self-government torna protagonista del dibattito sulla sovranità con la riaffermazione del diritto per le comunità di provvedere alla maggioranza delle funzioni governative da parte dei livelli più prossimi ad essa. Così nel dibattito conservatore del secondo governo Cameron diventa centrale una delle affermazioni più note di Edmund Burke “ciò che è incapace di cambiare, è incapace di conservarsi”, e vale anche per l’antico Regno.  In un ambiente segnato dai crismi del liberalismo classico che si fondono con il monetarismo e con il nazionalismo moderato, ma anche da un tradizionalismo saldamente radicato dalla centralità del governo di Londra è una svolta. Per ora culturale, domani probabilmente politica.

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