Il ministro Giuliano Poletti (foto LaPresse)

La verità, vi prego, sul lavoro

Redazione
Perché l’Istat smentisce di nuovo il governo sulla disoccupazione

Proprio alla vigilia del primo maggio l’Istat smentisce di nuovo il governo: a marzo la disoccupazione sale di 0,2 punti, al 13 per cento segnando un nuovo record; il 43,1 tra i giovani. Una settimana fa il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, annunciava un saldo attivo di 92 mila contratti tra attivazioni e cessazioni, con aumento dei rapporti a tempo indeterminato. Conseguenza per il ministro: il Jobs Act in vigore dal 7 marzo e gli incentivi per le imprese funzionano. Certo, Poletti quei numeri non se li è inventati, così come il centro studi Nomisma che prevede nel 2015 centomila posti nuovi di zecca. Chi ha ragione?

 

Da tempo i dati Istat e del governo non coincidono, ma è da quest’anno che la faccenda ha assunto un rilievo anche politico essendo scattata la principale e più avversata riforma economica renziana. A febbraio ne era nata una baruffa mediatica alimentata da economisti, politici, sindacalisti. Invece a dicembre e gennaio l’Istat era stato più generoso segnalando cali di disoccupazione dello 0,4 e dello 0,1. E’ possibile che sul dato socialmente e politicamente più sensibile non si riesca ad avere una risposta univoca? Il corto circuito sta nel metodo di calcolo: quello del ministero è contabile, registra in cifra assoluta le attivazioni di contratti rispetto alle cessazioni, rapporti di lavoro dipendente comunicati dalle aziende, divisi per tipologia. Numeri cosiddetti puntuali: a ognuno corrisponde una persona. L’Istat invece si muove su base statistica, su un campione scientifico della forza lavoro – unico riconosciuto in sede europea, ovvero dall’Eurostat – con indagini mensili dei propri uffici provinciali. Il campione Istat è più ampio di quello governativo: comprende per esempio il lavoro autonomo e atipico. Servirebbe di certo una banca dati nazionale, che però non si è mai realizzata anche per l’assenza rispetto ad altri paesi di agenzie di collocamento attivo, pubbliche e private.

 

[**Video_box_2**]Una generale tendenza positiva la segnala il bollettino di aprile della Banca centrale europea quando dice che in Italia e in Spagna il miglioramento del clima di fiducia coincide con un calo della disoccupazione o almeno a condizione che esso si consolidi e le imprese riescano a recuperare i livelli di produzione. Ovvero, tradotto, il concetto è chiaro: con una crescita dello 0,1 per cento, ovvero quella confermata dall’Istat nel primo trimestre, non si va lontano. E nemmeno se il pil crescerà a fine anno in termini decimali solo per merito dell’espansione monetaria della Bce e non per un recupero della produzione industriale a seguito dell’aumento della domanda. Dunque il Jobs Act e i paralleli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato servono – anche a dare fiducia a consumatori e imprese – ma non sono tutto. Detto al contrario: non sono tutto, ma servono.  

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