La Carta di Milano e un Expo che non mastica capitalismo

Giordano Masini
Il baco nella “Carta di Milano”, manifesto della frugalità bio chic che certo non sfamerà i popoli. L’idea che basta fare meno spesa in Italia per sfamare i poveri e quella fumosa “sovranità alimentare” che piace a Vandana Shiva

Alcuni giorni fa il New York Times ha raccontato la storia di Mohammed Rahman, piccolo agricoltore di Krishnapur, in Bangladesh, che per la prima volta nella sua vita non ha dovuto utilizzare insetticidi per coltivare le sue melanzane. I raccolti sono raddoppiati mentre i costi di produzione sono diminuiti, e oggi il signor Rahman riesce a intravedere, per sé e per la sua famiglia, un futuro migliore, lontano dalla povertà e dai rischi di intossicazione da pesticidi, un problema tutt’altro che marginale per i coltivatori della sua regione. All’origine di un cambiamento così radicale, una nuova varietà di melanzana resistente ai parassiti. La storia di Mohammed Rahman è esemplare poiché non molti chilometri più a ovest, nella vicina India, gli attivisti guidati dalla solita Vandana Shiva sono riusciti nel 2010 a ottenere dal governo una moratoria per la melanzana insecticide-free. Perché, certo, quella varietà di melanzana è un organismo geneticamente modificato (Ogm). Non è prodotta da Monsanto né da qualche altra multinazionale del settore ma da un ente pubblico.

 

La melanzana insecticide-free è stata creata dal Bangladesh Agricultural Research Institute, ma tanto basta per fare del confine tra India e Bangladesh uno spartiacque ideale tra due modi probabilmente inconciliabili di vedere il mondo. Da quale lato di questa linea abbiano deciso di accomodarsi gli organizzatori di Expo 2015, è stato chiaro fin dalle prime ore della mattinata di ieri, quando i principali quotidiani nazionali hanno ospitato interventi di lusso in attesa della presentazione della cosiddetta “Carta di Milano”, quella che dovrebbe, nelle intenzioni degli estensori, costituire il lascito più significativo della kermesse milanese dedicata al cibo e all’alimentazione.

 

Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina sulla Stampa, il presidente della Camera Laura Boldrini sul Corriere della Sera e la solita Vandana Shiva su Repubblica hanno ribadito a turno quel che già sapevamo sulla filosofia di Expo: l’innovazione e il mercato sono sterco del demonio, e se nel mondo c’è chi non ha abbastanza da mangiare, la colpa è di chi non finisce quel che ha nel piatto, signora mia. Troppi sprechi, tuona la Boldrini: 1,3 milioni di tonnellate di cibo che basterebbero a nutrire tutti gli affamati della Terra. Un terzo della produzione globale di cibo, al quale dobbiamo aggiungere anche il “troppo” che consumiamo: “Due miliardi di persone sono in sovrappeso”. E infatti la Carta di Milano sembra ruotare proprio intorno a questo concetto: sprecare meno, comprare solo quello di cui abbiamo effettivamente bisogno, donare il resto. Un sistema di produzione e distribuzione del cibo fondato sulla frugalità, in contrapposizione con il modello attuale, che sarebbe iniquo e insostenibile, nonostante riesca a nutrire più di sei miliardi di persone su un totale di sette miliardi (nel 1950 solo poco più della metà dei due miliardi e mezzo di abitanti del pianeta avevano accesso al cibo).

 

[**Video_box_2**]E chissà se il filosofo Salvatore Veca, che ha curato con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli la redazione del documento, ricorda i tempi in cui Bruxelles sussidiava gli esportatori perché scaricassero nei porti dei paesi in via di sviluppo le centinaia di migliaia di tonnellate di eccedenze produttive di un’Europa agricola intossicata dagli incentivi alla produzione, soffocando qualsiasi possibilità di sviluppo per le economie agricole locali costrette a subire la concorrenza sleale dei nostri prodotti. Effetti indesiderati-ma-non-troppo di un eccesso di generosità che serviva a mascherare il solito protezionismo commerciale nei confronti dei prodotti dei paesi più poveri. D’altronde ne parla anche la Carta di Milano, di sovranità alimentare, il nuovo elegante concetto per dire che noi ci teniamo il nostro benessere e voi vi tenete la vostra suggestiva e “biodiversa” miseria, e guai a provare a romperci le scatole con le melanzane del Bangladesh o l’olio di palma – altro bersaglio prediletto del cripto-protezionismo – e tutto quello che può farci sgradita concorrenza.