Le origini di un'idea solidale ma mercatista per l'euro, il sussidio di disoccupazione

Gabriele Marconi
La congiunzione di evidenza storica e scientifica suggerisce che il momento è maturo per la creazione di una politica economica comune per i paesi dell’Eurozona.

"Ulteriori progressi necessitano una volontà politica. Questa volontà oggi è incerta e deve manifestarsi attraverso l’azione. In un momento in cui l’Europa si trova di fronte a formidabili pericoli chiamati inflazione, deficit delle bilance dei pagamenti e disoccupazione, l’unica ragionevole via d’uscita è affrontare insieme (…) questi pericoli”, scriveva il francese Robert Marjolin nel marzo 1975 nell’introduzione del suo rapporto che, in 35 pagine, delineava i fondamenti di quella che – secondo un gruppo di esperti – doveva diventare l’Unione monetaria europea.

 

In termini di finanze pubbliche, il modello da seguire per l’Europa sembrava all’epoca quello delle esistenti federazioni (come Stati Uniti, Canada e Germania), nelle quali una parte sostanziale della spesa pubblica è gestita a livello federale. La centralizzazione di una parte della spesa  consente di mantenere un certo livello di coesione economica fra diversi stati, soprattutto nei momenti di crisi. E la maggiore coesione non è soltanto una questione di solidarietà, ma anche di calcolo economico perché le regioni “forti” traggono beneficio dalla stabilità e dalla crescita nelle regioni “deboli”. Eppure sul tavolo di Maastricht mancò come noto la volontà politica di espandere il budget comunitario. Ciò accadde per diverse ragioni. Prima fra tutte, la già notevole portata del Trattato che lasciava poco spazio per “ulteriori” richieste, come quella di uno stabilizzatore automatico. Molto importante fu anche la prospettiva futura dell’allargamento a est che imponeva di ripensare la spartizione della torta comunitaria, in un momento storico in cui l’attenzione era monopolizzata dalla riunificazione tedesca.

 

Così, economisti e politici si misero nelle mani del solo mercato. Un altro rapporto alla Commissione europea, intitolato “One market, one money” (Un mercato, una moneta), concluse nel 1990 che l’Unione monetaria si poteva sostenere a bilancio invariato, cioè con circa l’1 per cento del pil europeo. Gli autori ritennero infatti che i cicli economici nazionali si sarebbero sincronizzati grazie alla maggiore integrazione dei mercati, rendendo più remota la possibilità di una crisi grave in un particolare paese. Inoltre, in caso di recessione, la mobilità del lavoro e del capitale avrebbe riportato quantità e prezzi in equilibrio, coadiuvata da un processo di coordinazione delle politiche economiche nazionali.

 

La Grande recessione ha mostrato i limiti di quell’analisi: la crisi è arrivata e ha colpito diversi paesi europei in maniera molto differente. La mobilità del lavoro, è rimasta davvero limitata. Contrariamente alla percezione generale, soltanto lo 0,3 per cento dei cittadini comunitari (circa un milione e mezzo di persone in totale) si sposta ogni anno per vivere in un altro stato membro. Il coordinamento fra le politiche economiche nazionali ha avuto scarso successo perché i paesi meno colpiti dalla crisi hanno trovato difficile giustificare politicamente gli aiuti finanziari necessari per aiutare i paesi in maggiore difficoltà.

 

[**Video_box_2**]La congiunzione di evidenza storica e scientifica suggerisce che il momento è maturo per la creazione di una politica economica comune per i paesi dell’Eurozona. In particolare, l’idea di un’assicurazione europea contro la disoccupazione, originalmente proposta da Marjolin, sta guadagnando sostenitori a Bruxelles.

 

Oltre a intervenire in maniera solidale a sostegno di chi perde il lavoro, i sussidi di disoccupazione sono un tipo di spesa fortemente anticiclica, cioè in grado di intervenire in maniera rapida ed efficace per evitare un eccessivo calo dei consumi nelle aree geografiche in difficoltà. Il costo di un’assicurazione europea contro la disoccupazione sarebbe relativamente basso, potrebbe essere limitato a un mezzo punto percentuale del pil comunitario. Diverse opzioni sono al vaglio degli esperti per sedare i timori di quelli che temono un puro trasferimento di risorse da nord a sud.

 

E’ difficile a oggi predire se e quando questa idea verrà considerata al Consiglio europeo. Eppure quella a sostegno della disoccupazione è una misura che molto più di altre sta suscitando l’interesse di ricercatori e policy maker grazie alla possibilità di combinare l’efficacia economica con un segno di solidarietà ai cittadini di tutta l’Europa.

 

Gabriele Marconi e Ilaria Maselli sono ricercatori al Centre for European Policy Studies