Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Ammortizzatori vo cercando

Ecco l'asse Renzi-Boeri per dimostrare che il Jobs Act non fu vano

Alberto Brambilla
Le richieste di cassa integrazione vanno ai minimi. La fase più acuta della crisi industriale s’avvia a conclusione

Roma. Il ricorso alla cassa integrazione da parte delle imprese periclitanti è diminuito il mese scorso, segnalando che la fase cronica della crisi industriale comincia a concludersi dopo un’erosione notevole della capacità produttiva nazionale. Le richieste di cassa integrazione in deroga sono diminuite del 91 per cento a marzo di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2014; e quest’ultimo movimento per l’Inps è da ricondurre ai “fermi amministrativi per mancanza di stanziamenti”, ovvero a problemi nell’erogazione di risorse da parte delle regioni che concorrono al finanziamento. Per chi vede il bicchiere mezzo pieno significa comunque che alcune crisi aziendali gravi sono superate. Le ore di cassa ordinaria (per crisi transitorie) sempre a marzo diminuiscono del 17 per cento su base annua (da 27,4 milioni a 22,6) con una flessione sia nell’industria sia nell’edilizia, settori ciclici colpiti e appesantiti dal fisco. Stesso canovaccio per la cassa straordinaria (per ristrutturazione o riconversione) con una diminuzione annua di ore autorizzate a marzo del 31 per cento (da 53,2 milioni a 36,5). Nel pieno della crisi si arrivò al miliardo di ore annuali richieste nel complesso (anche se erano utilizzate solo per la metà). “Abbiamo finito di scendere, stiamo rimbalzando. La cassa integrazione è il termometro della situazione”, dice Giuliano Cazzola, ex dirigente del ministero del Lavoro e commentatore critico del governo Renzi. Molti osservatori si chiedono se questo basterà a riassorbire un tasso di disoccupazione stabile al 12,7 per cento e un tasso di occupazione in peggioramento mentre Confindustria e le associazioni delle piccole e medie imprese prevedono un recupero decimale della produzione industriale.

 

Gli imprenditori segnalano anche la predisposizione ad approfittare dell’incentivo normativo e soprattutto contributivo prodotto dal Jobs Act per modificare il mix di contratti in essere privilegiando quelli a tempo indeterminato, ancora minoritari.   La Banca d’Italia, intervenuta nella principale disputa politica dell’anno, ha affermato nel suo Bollettino mensile che grazie agli “sgravi contributivi” per il contratto indeterminato a tutele crescenti ci sarà “un lieve miglioramento delle prospettive occupazionali”. Ora, dopo avere introdotto una certa flessibilità nell’impiego, con il depotenziamento delle tutele giuridiche dell’art. 18, la principale partita per l’esecutivo sarà offrire una rete di sicurezza a chi può essere escluso dal ciclo produttivo riorganizzando le politiche attive e passive del lavoro. Nel disegno di legge delega sul lavoro il governo aveva inteso intervenire sulla cassa integrazione rivedendone i criteri di concessione e di utilizzo escludendo le imprese decotte o senza prospettive, inserendosi così nel solco della riforma Fornero che considerava la cassa uno strumento condannato all’esaurimento da sostituire con i fondi di solidarietà. La delega dice inoltre che si vorrebbe provare a seguire il modello tedesco lasciando a un unico ente la gestione degli ammortizzatori sociali. Un ruolo che il neo presidente Inps, Tito Boeri, già sembra interpretare in senso proattivo. Ai sindacati il suo attivismo sulla revisione del sistema pensionistico non è andato giù. Ma l’economista non ha intenzione di fare marcia indietro e, dal terreno amico della Università Bocconi, ieri ha ribadito il suo diritto a fare proposte al governo di Matteo Renzi.

 

[**Video_box_2**]Probabilmente in sede di definizione degli schemi della legge delega entro il 10 giugno. Il primo suggerimento di Boeri riguarda il reddito minimo per i 55-65enni (più o meno la generazione che ha fatto il Sessantotto). L’incidenza della povertà, dice il docente bocconiano in aspettativa, è tornato a crescere tra gli over 65. “Fattore trainante è stato la perdita dell’occupazione e per quella fascia d’età è difficile ritrovare lavoro. Solo uno su dieci ci riesce”. La proposta, dice Boeri, non è distante da quanto accade nel resto d’Europa dove il reddito minimo c’è già. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, giudica l’idea “interessante” dicendo che è “una delle cose che si può fare” senza parlare delle risorse necessarie. Tuttavia tenere aperti due canali – il sostegno al reddito o un sussidio e la cassa integrazione – resta una contraddizione in termini che richiederà una scelta politica precisa.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.