L'Ue abbaia (ma forse non morde) all'acciaio cinese

Gabriele Moccia
Dazi più alti per contenere la marea d'acciaio di Pechino. Mossa invocata da tutti, dalla Germania all'Australia, ma transitoria

Paul O'Malley è uno degli ultimi uomini dell'acciaio australiano. Dal suo ufficio di Melbourne guida la BlueScope steel, un colosso che opera in ventidue paesi ma che ancora l'anno scorso ha continuato a soffrire, segnando perdite in bilancio per 82 milioni di dollari. O'Malley è un uomo in trincea, ha visto l'industria siderurgica australiana cadere progressivamente nelle mani di Pechino. L'ultimo takeover solo qualche mese fa, quando la cinese Baosteel (quarto gruppo mondiale per milioni di tonnellate prodotte) ha acquisito per intero Aquila Resources, il siderurgico di Perth che controlla l'enorme complesso minerario di West Pilibara, nel nord-ovest del paese. Pechino del resto sembra aver messo il turbo.

 

Nel ranking mondiale, infatti,  tra i primi 35 posti si contano ben 28 gruppi siderurgici cinesi che, insieme, assommano una produzione di 478,4 milioni di tonnellate. Dalla sua visuale, O'Malley  non manca di avvertire i suoi colleghi europei sul rischio che la "sindrome australiana" possa colpire mortalmente la già debole e martoriata industria dell'acciaio del Vecchio continente. Per questo, è stato uno dei primi ad accodarsi alle manifestazioni di giubilo dell'Associazione europea del siderurgico (Eurofer), in risposta alle severe misure anti-dumping che la Commissione europea ha finalmente deciso di applicare all'acciaio cinese e di Taiwan. Misure che piacciono soprattutto alla Germania, colpita di recente dall'annuncio del taglio degli investimenti per il 2015 nel paese da parte di ArcelorMittal, e che dunque, può rifiatare.

 

Una decisione, quella sui dazi, per adesso transitoria - 6 mesi - ma dal sapore draconiano: a seconda delle società, i dazi, al momento solo sui laminati a freddo, vanno dal 10,9 al 25,2 per cento. Come ha scritto la stessa Eurofer, le importazioni di acciaio da Cina e Taiwan sono aumentate del 70 per cento tra il 2010 e il 2013 e la loro fetta di mercato all'interno dell'area Ue è progressivamente salita del 64 per cento, mentre il margine di sotto-quotazione del prezzo ha raggiunto il 10,5 per cento. Il rappresentante dei siderurgici europei, Alex Eggert ha parlato di una marea cinese sul mercato globale e, a chi lo ha accusato di fare cartello, ha risposto snocciolando i dati relativi alle crescenti azioni tariffarie in senso protezionista che sono state messe in campo da parecchi stati per arginare il muscolarismo cinese sul settore: dal Canada, al Brasile, passando per l'Egitto, il Marocco, l'India e il Pakistan.

 

[**Video_box_2**]Meglio tardi che mai? C'è chi in realtà crede poco a questo braccio di ferro con Bruxelles. Come il gruppo francese Safran, che da qualche settimana ha avviato intensi negoziati proprio con Baosteel per un'ingente fornitura di laminati speciali destinati all'aerospazio e alla difesa. Del resto, a parte tariffe e dazi, l'Ue dall'inizio della legislatura ha fatto ben poco sull'acciaio, a parte una risoluzione del parlamento europeo approvata lo scorso dicembre, il piano d'azione annunciato dalla Commissione è fermo al palo. Il gruppo di alto livello costituito per implementare le politiche di settore si è riunito solo 3 volte dal 2013. Come ricordano gli esperti di Platts, affidarsi solo sulle inchieste dell'antitrust potrebbe non bastare per contenere le politiche commerciali che partono da Pechino. Intanto le acciaierie d'Europa ringraziano, almeno per ora. ArcelorMittal (inglese) ThyssenKrupp (tedesca) e Outokumpu (finlandese)  nelle ultime settimane hanno tutte migliorato le loro performance in Borsa, guadagnando qualcosina.  

 

Di più su questi argomenti: