Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis (foto LaPresse)

Compagni che tagliano

Marco Valerio Lo Prete
Il laburista Ed Miliband nel Regno Unito, il socialista Pedro Sánchez in Spagna, i più radicali Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis in Grecia: nel 2015 la sinistra europea, perfino quella mediterranea, ha rivalutato – e dice di voler perseguire – il pareggio di bilancio.

Roma. Il laburista Ed Miliband nel Regno Unito, il socialista Pedro Sánchez in Spagna, i più radicali Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis in Grecia: nel 2015 la sinistra europea, perfino quella mediterranea, ha rivalutato – e dice di voler perseguire – il pareggio di bilancio, cioè la rigorosa uguaglianza tra entrate e uscite pubbliche tanto cara alla rigorista Angela Merkel. Incluso Matteo Renzi che in Italia vagheggia di “tesoretti” alla vigilia delle elezioni ma poi in fondo punta verso il pareggio di bilancio strutturale (seppure nel 2017). Non che l’Europa oggi incarni lo stato minimo, evidente, ma nemmeno le spese pazze e dissennate godono di eccessiva buona fama a gauche. Tutt’altro, come registravamo ieri su queste colonne. “E’ vero, quanto sta accadendo nella sinistra socialdemocratica europea può certamente essere considerato come una vittoria politica e culturale della Merkel e della leadership conservatrice tedesca – dice al Foglio Stefano Fassina, deputato del Partito democratico critico della guida renziana – Ma il processo che ha portato a questa vittoria è iniziato molto tempo fa”. Fassina, che nel governo Letta è stato anche viceministro dell’Economia, guarda alle nuove posizioni ufficiali in materia di politica fiscale e parla di “subalternità culturale” della sinistra: “Subalternità di una parte della variegata famiglia socialista e democratica rispetto alla cultura conservatrice”. Poi aggiunge: “Identificare a priori sinistra e keynesismo con la spesa in deficit è caricaturale. Clinton in America, Prodi e Amato in Italia: la sinistra è stata già quella del risanamento dei conti pubblici. La subalternità diventa chiarissima oggi, quando da sinistra si persegue il pareggio di bilancio nonostante in Europa ci confrontiamo con una carenza cronica di domanda aggregata”.

 

Fassina, si spieghi: da una parte si sbaglierebbe a dipingere la sinistra come automaticamente favorevole al deficit spending; dall’altra però la sinistra è subalterna se predica il pareggio di bilancio. Com’è possibile? “Indebitarsi, per definizione, è un meccanismo redistributivo a favore dei più ricchi, cioè appunto di quelli che sono in condizioni di prestare. Per crescere esistono anche altre strade. Detto ciò, escludere per principio la spesa in deficit vuol dire aderire a un approccio ideologico. Quest’ultima è la situazione in cui ci troviamo oggi”.

 

[**Video_box_2**]In realtà Merkel rischia di passare alla storia più come una leader pragmatica che come una leader ideologica. Perfino la sua giustificazione teorica del rigore fiscale pare fondarsi su un approccio ragionevole: l’Europa rappresenta il 7 per cento della popolazione mondiale, il 25 per cento della produzione globale e il 50 per cento della sua spesa planetaria; con i ritmi di crescita attuali, uno stato sociale così generoso diventa insostenibile. Replica Fassina: “Quella compiuta dall’Europa dopo la Seconda guerra mondiale è la scelta di un modello sociale. Avere un welfare fiorente non equivale a governare in deficit”. Tuttavia spesso è andata così: “La direzione impressa dalla leadership tedesca si fonda su basi solide. L’impianto rigorista attuale era già consolidato giuridicamente nei trattati europei, nel Patto di stabilità e crescita del 1997. Fiscal compact e pareggio di bilancio in Costituzione hanno solo ribadito tutto ciò”. La nuova tendenza ideologica “era nata invece già negli anni 80”. Colpa della solita premiata ditta Thatcher&Reagan? “Allora esistevano effettivamente problemi di finanza pubblica nel mondo. Poi però le necessarie correzioni sono diventate la normalità. E il nuovo regime restrittivo di finanza pubblica, di cui si avvantaggiano i grandi creditori e la finanza privata, è soltanto uno degli aspetti di quella rivoluzione”. Se perfino il greco Tsipras, anti austerity per eccellenza, predica il pareggio di bilancio, forse i lassisti sono stati semplicemente investiti dalla realtà delle risorse finite e dei mercati globalizzati: “Il caso del nuovo governo greco è diverso – dice Fassina – Atene ha una drammatica necessità: quella di non doversi rivolgere di nuovo, col cappello in mano, a quanti vorrebbero dettargli la politica economica”. Renzi, invece? “La lettura del Documento di economia e finanza appena stilato è deprimente. Riforme strutturali e tagli come via alla crescita: è una rimarcatura del solito paradigma liberista. In questo caso la subalternità culturale e politica è totale”, conclude Fassina.