Il renziano Guerra: "Sulla banda larga sto perdendo 6-0"

Elena Bonanni
Il supermanager in servizio a Palazzo Chigi sulla partita della banda larga, sul rapporto con il premier, sui "rompiscatole necessari" e i suoi progetti per il 2016.

Milano. “Sulla banda larga sto perdendo 6-0, sono già sotto la doccia ma ancora gioco”. Non molla la presa Andrea Guerra, osannato ex amministratore delegato degli occhiali Luxottica e ora consigliere personale del ministro Matteo Renzi, che negli ultimi mesi si è ritrovato catapultato a gestire i grossi guai del Governo, dal dossier Ilva (“su cui – dice – ho passato a lavorare gli ultimi sei mesi più di quanto lavoravo prima”) passando per le banche, alla banda larga. “Cosa sto cercando di fare? Di decidere, portiamo ai politici il miglior pacchetto possibile e poi vediamo cosa succede”. Guerra ha parlato ieri sera all’esclusiva cena della Baa, l’associazione degli studenti dell’ateneo che forma la futura classe manageriale del paese e di cui è membro del consiglio di amministrazione.

 

Duecentoquaranta invitati, giovani studenti, quarantenni con Master e anche diversi uomini di impresa e manager, tra cui il presidente dell’Ice Riccardo Monti e l’imprenditrice napoletana della comunicazione glamour Tiziana Rocca. Che nel foyer dell’aula magna del nuovo edificio di via Roentgen hanno cercato di strappargli qualche retroscena e qualche consiglio. “Non so molto di più”, dice a un gruppetto di studenti che cercano di avere qualche informazione sulle rocambolesche vicende di governance degli ultimi tempi in casa Luxottica proprio dopo la sua uscita improvvisa. “Mi sembra forte dire che ho deciso di dimettermi - racconta durante l’intervista seguita alla cena - Dopo dieci anni le relazioni possono finire per motivi diversi. Non ho deciso io”. “Scegliti il capo, non l’azienda. I primi due anni sono fondamentali”, ha suggerito a un neolaureato che l’ha fermato per un consiglio prima di lasciare la sala. Il diktat della serata, annunciato subito, prima dei ravioli con bufala per finire con la crostata di crema cotta con fragole, è “niente domande 100 per cento politiche”.

 

“Non oggi“, dice al Foglio che a margine della cena cerca di incalzarlo su qualche aggiornamento nella saga digitale del braccio di ferro con Telecom.  “Quando penso alla banda larga - racconta stimolato da una domanda del professore Fabrizio Onida sulla possibilità di avere una politica industriale in grado di far aggregare le imprese attorno a dei progetti - il Governo ha tirato fuori un progetto, lo ha discusso con 30 operatori, lo ha chiuso e pubblicato. Il progetto strategico è stato giudicato non male da parte di tutti. Il secondo passo è avere spirito imprenditoriale per coagulare diverse energie senza sprecarle per creare un soggetto con la Cassa depositi e presiti. Il terzo passo è far sì che le aziende private  si facciano avanti. Il quarto è decidere, una delle cose che è maggiormente mancata finora”.

 

D’altra parte, l’essenziale mantra manageriale di Guerra consiste nel togliere gli alibi, dimostrarsi un bravo capo e fare cose di buon senso. “Cerco di rimuovere gli alibi e far sì che le persone riscoprano il giusto del successo”, dice. Lo ha fatto a Luxottica. E prova a farlo anche ora al governo. “Per i politici sono un mix strano: sono credibile, rapido e batto i tempi. Sull’Ilva ho deciso che un giorno alla settimana avremmo fatto una riunione. Dopo la prima Renzi mi ha chiamato dicendomi ‘riunione buona’. Io gli ho risposto che era stata la peggiore a cui avevo mai partecipato: uno telefonava, uno usciva…La seconda si è svolta nello stesso modo. Ora, siamo alla quindicesima, ma facciamo tutto in un’ora e la gente arriva all’incontro con un po’ di adrenalina”. Con Renzi, che nell’intervista chiama praticamente sempre “presidente del Consiglio”, l’intesa è stata siglata in un’ora e mezza di rapido scambio di mail. “E’ stato una sorta di contratto morale tra me e lui, quello su cui mi sarei impegnato e quello su cui no. Ho detto che avrei dato il mio contributo su temi specifici che conosco”.

 

Con il presidente del Consiglio passa l’80 per cento del tempo sulle persone e sull’organizzazione. “Ci vogliono team non clan - dice - le diversità culturali sono importanti”. Poi ci vogliono anche i frame breakers, ossia chi “rompe le scatole”. Ma lui, che quando si è laureato (in Economia del lavoro) era sicuro avrebbe fatto il sindacalista o il professore, e che ritiene che oggi essere di sinistra significhi dare a tutti l’opportunità di uguaglianza di ingresso, si vede piuttosto come Forrest Gump: “Nelle cose che faccio - dice - sono convinto di riuscire a convincere tutti”.

 

Ma già scalpita per tornare in azienda. “Se penso al lavoro che andrò a fare sono più contento. Non vedo l’ora”. La credibilità ce l’ha, i capitali li troverebbe facilmente, ma non diventerà imprenditore (“perché bisogna essere un poi Pinocchio - dice - dirsi un po’ di bugie è necessario per ripartire quando qualcosa non va. E io non sono così). Rimarrà manager. “Voglio lavorare per un’azienda italiana imprenditoriale, che ha capacità di sostenibilità sia nel modello di business e ha una fortissima propensione alla globalità”. Il Foglio, prima che Guerra lasci la sala, gli butta lì un’ipotesi: “Con queste caratteristiche c’è il food”. “Vedremo”.

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