Beati i disruptor

Luciano Capone
La sharing economy, ossia l’innovazione tecnologica che permette di soddisfare meglio le esigenze dei consumatori e di sfruttare i beni sottoutilizzati, non ruba lavoro agli operatori tradizionali, anzi li sveglia. Quei dati su Airbnb. Un’offerta più ampia e maggiore concorrenza non riducono il mercato (cari tassisti), lo creano.

Milano. L’arrivo di quella che viene definita sharing economy, o semplicemente dell’innovazione tecnologica che permette di soddisfare meglio le esigenze dei consumatori e di sfruttare in maniera più efficiente beni sottoutilizzati come automobili e case, è un evento rivoluzionario per chi opera nel mercato tradizionale. Premesso che sono necessarie norme che garantiscano standard di sicurezza universali per i clienti, di fronte all’innovazione ci si può stare a lamentare di come sia distruttiva oppure provare a farci i conti, cogliendo le opportunità che offre. Ci sono tanti esempi in Italia e in giro per il mondo di associazioni di tassisti che hanno creato app per competere con Uber sul lato della qualità dei servizi, ultimo è il caso di un grande operatore del noleggio come Europcar che ha fatto cospicui investimenti nel car sharing per non essere tagliato fuori. C’è competizione feroce tra vecchi operatori e nuovi arrivati, ma non è detto che qualcuno debba soccombere per forza, la torta dei profitti non è fissa e le innovazioni possono farla lievitare con benefici per tutti.

 

E’ ciò che sta ad esempio accadendo nel settore alberghiero con Airbnb, la piattaforma che permette di affittare un posto letto, una camera o una casa per brevi periodi: da un lato ci sono privati che offrono proprietà sottoutilizzate, dall’altro clienti e turisti che cercano sistemazioni flessibili e prezzi più convenienti. Si tratta di una specie di Uber degli alberghi, che ha provocato un po’ di polemiche, ma meno accese e violente rispetto ai taxi.

 

Uno studio della Boston University ha analizzato l’impatto di Airbnb sul settore alberghiero, utilizzando i dati della start up californiana e quelli degli hotel del Texas. Il risultato? Guadagnano entrambi.

 

Gli hotel tradizionali, dice lo studio della Boston University, hanno reagito alla maggiore disponibilità di posti letto abbassando i prezzi, un calo che negli hotel di Austin, dove la penetrazione di Airbnb è stata più forte, è stato dell’8 per cento. Il beneficio di questa maggiore concorrenza non ha riguardato solo coloro che hanno guadagnato affittando le proprie case vuote e i turisti che hanno trovato un’offerta che prima di Airbnb non c’era, ma anche coloro che grazie alla maggiore concorrenza hanno continuato a scegliere gli hotel tradizionali pagando prezzi più bassi di prima. Ciò non vuole dire che si è spostato reddito dagli albergatori ai proprietari di case sfitte, ma che con maggiore libertà di scelta e prezzi più contenuti aumentano i turisti, gli introiti e i posti di lavoro complessivi.

 

Lo stesso vale per Uber e i taxi, che a Roma vengono presi con una certa frequenza solo dal 9 per cento dei cittadini, mentre il 60 per cento non l’ha mai preso a causa delle tariffe troppo alte: un’offerta più ampia e una maggiore concorrenza non ridurranno i guadagni dei tassisti, ma faranno prendere il taxi a molte più persone che prima non potevano permetterselo (soprattutto se si liberalizzano le tariffe). Un’offerta migliore fa aumentare i clienti. E’ questo ciò che dovrebbe tenere a mente un paese a forte vocazione (o quantomeno con una grande potenzialità) turistica come l’Italia, tra l’altro in un periodo in cui mancano gli investimenti.

 

[**Video_box_2**]La sharing economy permette di utilizzare capitali e infrastrutture già esistenti creando opportunità che prima non erano possibili. Un esempio paradigmatico sono gli scorsi Mondiali di calcio in Brasile: nonostante i circa 11 miliardi di dollari spesi dal governo, molti dei quali finiti in corruzione e opere faraoniche, mancavano infrastrutture adeguate per accogliere il grande numero di tifosi in arrivo. Il governo brasiliano ha chiesto di metterci una pezza proprio ad Airbnb, che in pochi mesi ha pubblicato 35 mila annunci (si andava dai 10 dollari a notte per una camera in una normale casa brasiliana ai 15 mila dollari per la villa di Ronaldinho a Rio), solo così hanno avuto ospitalità 120 mila tifosi che altrimenti non avrebbero trovato un letto. Lo stesso, in misura diversa, accadrà per l’Expo e per il Giubileo quando ci sarà un eccesso di domanda temporanea per la nostra offerta: niente sharing economy, niente turisti.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali