Evviva, si vendono le partecipate! In Cina

Redazione
Pechino pianifica la ritirata dello stato, e qui prosegue l’ammuina. Dunque è deciso: lo stato inizia a privatizzare le società partecipate centrali e locali. Obiettivo: ridurre la mano pubblica, aumentare la produttività e tagliare le spese. Si parte, finalmente. Peccato che questo avvenga in Oriente

Dunque è deciso: lo stato inizia a privatizzare le società partecipate centrali e locali. Obiettivo: ridurre la mano pubblica, aumentare la produttività e tagliare le spese. Il ministero delle Finanze ha stilato le regole e la tabella di marcia precisando che “la rivoluzione non risparmierà nessuno, imprese quotate e non”. Si parte, finalmente. Peccato che questo avvenga in Cina, per 156 mila aziende, 104 mila delle quali locali. In Italia invece “prosegue la mappatura” delle società dello stato e di quelle collegate a regioni, province e comuni. Queste ultime sono 7.726, un terzo generano perdite, costando ai contribuenti 26 miliardi “oltre alle inefficienze per i cittadini e le imprese, gli aumenti tariffari, le lungaggini burocratiche”, dice la Corte dei Conti.

 

Carlo Cottarelli, l’ex zar dei tagli, propose di ridurle a mille in tre anni, con risparmi fino a tre miliardi l’anno, cominciando dai 15 mila dirigenti e consiglieri. Ad aver cominciato prima, forse, oggi vedremmo una crescita più consistente nel primo trimestre rispetto al più 0,2 per cento stimato ieri dalla Confindustria. Un migliaio di queste aziende partecipate ha come unico committente un comune, una provincia, una regione. Ora il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il capo dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, riaprono la pratica (ri)annunciando “una stretta”: che però lascia presagire che gli enti inutili godranno ancora di lunga vita. Saranno chiamati a contribuire alla sempreverde emergenza-legalità: ruotare dirigenti, “individuare aree a rischio”, “stendere codici”, nominare “responsabili integerrimi per prevenire la corruzione”. Ammuina maxima. La Cina è lontana.

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