Mario Draghi (foto LaPresse)

Il tifo di Francoforte

Assist di Draghi a Renzi e il (vero) senso delle raccomandazioni Bce

Renzo Rosati
Autodifesa di Padoan a parte, l’avviso all’Italia è di ritrovare brio riformista e completare la lettera dell’Eurotower

Roma. Un botta e risposta tra Banca centrale europea e Pier Carlo Padoan? Di fronte ai pur non rigidi richiami contenuti nel Bollettino economico dell’Eurotower diffuso giovedì (“per Italia e Belgio continua a esservi un notevole scostamento dallo sforzo strutturale richiesto nell’ambito della regola del debito”, questa la parte più hard) e, a leggere il testo integrale di osservazioni su una decina di paesi, in particolare la Francia (per i quali solleva “perplessità” la linea della Commissione di Bruxelles di dare via libera alle rispettive leggi finanziarie non attuando procedure di infrazione), insomma sentendosi chiamato in causa il ministro dell’Economia ha tenuto il punto. Ricordando che “l’opinione riportata dalla Bce, secondo cui la correzione strutturale del deficit italiano sarebbe un mero effetto del calo del pagamento degli interessi sui titoli pubblici, è quantomeno parziale”.

 

Eppure nel Bollettino – che dal 2015 sostituisce il report mensile e che dovrà dare conto delle discussioni nel board sulle decisioni di politica monetaria, modello Federal reserve – c’è più di un assist a favore di una ripresa dell’agenda riformista renziana, della sua accelerazione, e della linea dello stesso Padoan. “In Italia”, dice la Bce, in un paragrafo dopo altri su Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e ancora Francia “ulteriori riforme sono cruciali per accrescere il prodotto potenziale. Molti studi dimostrano che con interventi significativi nel mercato del lavoro e dei beni e servizi, in linea con le migliori pratiche mondiali, il pil potrebbe crescere di oltre il 10 per cento nel lungo periodo”. Mentre “implementare simultaneamente entrambe le riforme potrebbe determinare un incremento ancora maggiore”. Ebbene? Non somiglia al linguaggio propositivo di Padoan sull’“output gap”, sull’impatto delle riforme sulla crescita? Ma soprattutto pare un incoraggiamento al premier Matteo Renzi a riprendere il passo garibaldino dei primi mesi, culminato con il Jobs Act (pur monco di una sufficiente enfasi sulla contrattazione solo a livello aziendale), a costo di rimettere mano alle slides.

 

[**Video_box_2**]La lista dei desiderata della Bce è nota a Palazzo Chigi: privatizzazioni, riforma della Pubblica amministrazione, agenda digitale, soprattutto taglio della spesa pubblica perché dopo Carlo Cottarelli non può esserci il piccolo cabotaggio. Ma anche riprendere le liberalizzazioni, visto che il primo colpo è stato molto attutito tra neocentristi (oggi ridimensionati) e resistenze corporative. Ancora: frenare gli impulsi un po’ populistici e anti impresa che affiorano nelle norme ambientali, su falso in bilancio e dintorni. Come il Foglio ha documentato, della lettera della Bce dell’agosto 2011 i governi Monti e Renzi hanno attuato una parte significativa: pensioni, avanzo primario, taglio delle province, mercato del lavoro. Manca l’ultimo miglio: questo dice in fondo, oggi, l’Eurotower. E’ una palla alzata sotto rete, mica un fischio di fuorigioco.

 

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